8 agosto 2016

Lettere persiane, di Montesquieu

Lettere persiane (Lettres Persanes), di Charles-Louis de Montesquieu

Anno di prima pubblicazione: 1721

Edito da: Garzanti, Mondadori, Rizzoli

Voto: 10/10

Pagg.: 248 (nell’edizione Garzanti)

Traduttore: Lanfranco Binni

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Pubblicate per la prima volta nel 1721, le Lettere persiane sono la prima opera importante dell’allora poco più che trentenne Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu.
La prima edizione uscì anonima, considerato il carattere di pungente satira dei costumi e della religione che avrebbe attirato sull’Autore le più aspre critiche.
Fu inoltre pubblicata con falsa indicazione del luogo di stampa (Colonia anziché Amsterdam) per evitare di incorrere nella censura.
La versione giunta ai nostri giorni è quella che Montesquieu rivide negli ultimi anni della sua vita, dopo la pubblicazione dell’Esprit des lois (1748), apportandovi alcune correzioni e aggiungendo una decina di lettere rispetto alla versione originaria.
Queste ultime lettere, in particolare, accentuavano ulteriormente la critica alla Francia contemporanea e rafforzavano i toni della violenza nella drammatica implosione del serraglio, che occupa la parte finale.

Montesquieu era ben consapevole dell’originalità della sua creazione, che definiva “Una specie di romanzo”. L’opera è oggi unanimemente ricompresa nella schiera dei romanzi epistolari, un genere che tuttavia all’epoca era pressoché sconosciuto (si diffonderà soltanto nella seconda metà del Settecento per poi giungere a maturazione nel XIX secolo).
Alla raccolta epistolare si unisce un singolare stile di testo letterario-filosofico-politico a quell’epoca privo di modelli di riferimento.
Come scrive Lanfranco Binni nella preziosa introduzione all'edizione Garzanti, “Montesquieu ispira il proprio stile di scrittore, coltissimo e sapiente, capace di restituire la complessità e la varietà attraverso una trama mobilissima di registri linguistici (dalla satira di costume alla dissertazione storica e filosofica, al melodramma) come funzioni di un vorticoso e polifonico esperimento di chimica sociale”.
Per scrivere un’opera di tale originalità Montesquieu attinse alla più varia letteratura e saggistica dell’epoca: relazioni di viaggio (in particolare quelli in Oriente), testi giuridici, saggi scientifici.
Molte delle considerazioni formulate dagli alter ego dell’Autore, protagonisti delle vicende narrate nel romanzo, derivano dalla sua esperienza di magistrato e dall’osservazione della situazione politico-sociale francese degli inizi del Settecento, un periodo segnato dalla fine del lunghissimo regno di Luigi XIV (che morì nel 1715) e dalla successiva crisi del sistema economico-finanziario ideato dallo scozzese John Law, che porta la Francia ad una situazione di povertà senza precedenti.

Tramite l’espediente di due viaggiatori persiani, Usbek e Rica, in visita nella Francia di inizio XVIII secolo - che si trovano a descrivere una società ed una cultura a loro ignota, mediante lettere inviate a conoscenti, familiari o direttamente scambiate tra di loro - Montesquieu descrive la Francia dell’epoca con uno straordinario (in tutti i sensi) approccio relativista.
Le Lettere persiane costituiscono, invero, l’opera relativista per eccellenza, oggetto di molteplici imitazioni nel corso dei secoli.
L’Europa e la Persia del Settecento sono sì diversi, ma per molti aspetti presentano somiglianze che vengono soltanto celate dietro diverse denominazioni:
Vedo dappertutto il maomettismo, sebbene non trovi Maometto”.
Non manca una sottile ironia che i due corrispondenti profondono nelle loro missive, con apparente ingenuità:
I francesi non parlano quasi mai delle loro mogli: hanno paura di parlarne davanti a persone che le conoscono meglio di loro”.
L’ironia è spesso rivolta, più o meno direttamente, verso la religione cristiana e le sue incongruenze:
A Parigi, mio caro Rhedi, sono molti i mestieri. Qui un uomo servizievole viene a offrirvi, per pochi soldi, il segreto della fabbricazione dell’oro. Un altro vi promette di farvi andare a letto con gli spiriti celesti, purché non vediate una donna per soli trent’anni”.
Ironia unita, anche per questi temi, al relativismo:
Mi sembra, Usbek, che i nostri giudizi sulle cose siano sempre segretamente condizionati dai nostri punti di vista. Non mi sorprende che i negri dipingano il diavolo di una bianchezza abbagliante e i loro dèi neri come il carbone, che la Venere di certi popoli abbia mammelle che le pendono fino alle cosce, e che infine tutti gli idolatri abbiano rappresentato i loro dèi con una raffigurazione umana, attribuendo loro tutte le proprie inclinazioni. È stato detto molto bene che se i triangoli creassero un dio, lo farebbero con tre lati”.
Ma non vi è soltanto la descrizione della società francese da parte dei due stranieri a stravolgere le concezioni rigide e ottuse di una società egocentrica come quella francese del Settecento.
Montesquieu ricorre pienamente anche alla metafora, tra cui la più importante è indubbiamente quella del serraglio di Usbek a Ispahan, che “mette a nudo le dinamiche relazionali del dispotismo” (così Binni).
Abbandonato dal padrone per il viaggio in Europa, il serraglio è gestito da eunuchi che tentano dapprima un approccio morbido, su indicazione dello stesso Usbek, per poi passare ad un vero e proprio clima di terrore che ne causerà la drammatica implosione.
Usbek, così severo e attento nel giudicare i costumi e la società francesi con curiosità e avversione per ogni intolleranza, è egli stesso fondamentalmente un despota, con il suo potere di vita e di morte che esercita (a distanza) nel serraglio, dove la donna è “inutile ornamento (…), custodita per l’onore e non per la felicità del suo sposo”.

Ci vorrà poco tempo perché cada il mistero sul reale autore delle Lettres persanes, che varranno a Montesquieu un successo immediato e clamoroso, a livello europeo, ma anche l’avversione dei poteri forti, in primis la Chiesa di Francia, più volte punzecchiata nel libro.

Le Lettere persiane contengono anche diverse riflessioni giuridiche che costituiscono i prodromi degli argomenti che Montesquieu svilupperà nel suo capolavoro più conosciuto, Lo spirito delle leggi:
Ho spesso riflettuto su quale fosse il governo più conforme alla ragione. Mi è sembrato che il più perfetto sia quello che raggiunge i suoi fini con il minimo sforzo; così, il governo che guida gli uomini nel modo più conforme alle loro attitudini e inclinazioni è il più perfetto”.
Il diritto nel suo complesso, incluso quello penale, su cui, proprio in quel secolo, comincerà una seria riflessione sull’efficacia deterrente delle pene più severe:
Tieni conto, mio caro Rhedi, che in uno stato non sono le pene più o meno crudeli a far obbedire di più alle leggi. Nei paesi in cui sono moderate, le punizioni sono temute quanto nei paesi in cui sono tiranniche e spaventose”.
Ancora, Montesquieu elabora pensieri assai raffinati sul costituzionalismo (ante-litteram) e sui limiti del potere legislativo:
È vero che, per una bizzarria che deriva più dalla natura che dalla mente degli uomini, talvolta è necessario cambiare certe leggi. Ma è un caso raro, e quando accade bisogna intervenire con mano tremante: bisogna osservare tali solennità e seguire tali precauzioni, in modo che il popolo ne deduca naturalmente che le leggi sono veramente sacre, visto che occorrono tante formalità per abrogarle”.
Alcune riflessioni sono l’avanguardia del pensiero illuminista che proprio in quel secolo si svilupperà:
la storia è piena di guerre di religione. Ma bisogna fare molta attenzione: non è stata la molteplicità delle religioni a produrre queste guerre, ma lo spirito di intolleranza che animava la religione che si credeva dominante”.

Lettere persiane di Montesquieu è in definitiva un grandissimo libro poliedrico, affascinante, pregno di riflessioni e di interrogativi.
È un libro che ha l’evidente intento di ribaltare le concezioni assolute, la megalomania del pensiero, facendo emergere tutte le contraddizioni insite nell’uomo, di ogni etnia e cultura.
Un classico del Settecento che dietro un’apparente leggerezza nasconde una profondità di pensiero che farà di Montesquieu una delle intelligenze più stimate del secolo, uno degli imprescindibili grandi saggi dell’illuminismo francese ed europeo.

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