
Anno di prima pubblicazione: 1721
Edito da: Garzanti, Mondadori, Rizzoli
Voto: 10/10
Pagg.: 248 (nell’edizione Garzanti)
Traduttore: Lanfranco Binni
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Pubblicate per la prima volta nel 1721,
le Lettere persiane sono la prima opera importante dell’allora
poco più che trentenne Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède
e di Montesquieu.
La prima edizione uscì anonima,
considerato il carattere di pungente satira dei costumi e della
religione che avrebbe attirato sull’Autore le più aspre critiche.
Fu inoltre pubblicata con falsa
indicazione del luogo di stampa (Colonia anziché Amsterdam) per
evitare di incorrere nella censura.
La versione giunta ai nostri giorni è
quella che Montesquieu rivide negli ultimi anni della sua vita, dopo
la pubblicazione dell’Esprit des lois (1748), apportandovi
alcune correzioni e aggiungendo una decina di lettere rispetto alla
versione originaria.
Queste ultime lettere, in particolare,
accentuavano ulteriormente la critica alla Francia contemporanea e
rafforzavano i toni della violenza nella drammatica implosione del
serraglio, che occupa la parte finale.
Montesquieu era ben consapevole
dell’originalità della sua creazione, che definiva “Una
specie di romanzo”. L’opera è oggi unanimemente ricompresa
nella schiera dei romanzi epistolari, un genere che tuttavia
all’epoca era pressoché sconosciuto (si diffonderà soltanto nella
seconda metà del Settecento per poi giungere a maturazione nel XIX
secolo).
Alla raccolta epistolare si unisce un
singolare stile di testo letterario-filosofico-politico a quell’epoca
privo di modelli di riferimento.
Come scrive Lanfranco Binni nella
preziosa introduzione all'edizione Garzanti, “Montesquieu ispira
il proprio stile di scrittore, coltissimo e sapiente, capace di
restituire la complessità e la varietà attraverso una trama
mobilissima di registri linguistici (dalla satira di costume alla
dissertazione storica e filosofica, al melodramma) come funzioni di
un vorticoso e polifonico esperimento di chimica sociale”.
Per scrivere un’opera di tale
originalità Montesquieu attinse alla più varia letteratura e
saggistica dell’epoca: relazioni di viaggio (in particolare quelli
in Oriente), testi giuridici, saggi scientifici.
Molte delle considerazioni formulate
dagli alter ego dell’Autore, protagonisti delle vicende narrate nel
romanzo, derivano dalla sua esperienza di magistrato e
dall’osservazione della situazione politico-sociale francese degli
inizi del Settecento, un periodo segnato dalla fine del lunghissimo
regno di Luigi XIV (che morì nel 1715) e dalla successiva crisi del
sistema economico-finanziario ideato dallo scozzese John Law, che
porta la Francia ad una situazione di povertà senza precedenti.
Tramite l’espediente di due
viaggiatori persiani, Usbek e Rica, in visita nella Francia di inizio
XVIII secolo - che si trovano a descrivere una società ed una
cultura a loro ignota, mediante lettere inviate a conoscenti,
familiari o direttamente scambiate tra di loro - Montesquieu descrive
la Francia dell’epoca con uno straordinario (in tutti i sensi)
approccio relativista.
Le Lettere persiane
costituiscono, invero, l’opera relativista per eccellenza, oggetto
di molteplici imitazioni nel corso dei secoli.
L’Europa e la Persia del Settecento
sono sì diversi, ma per molti aspetti presentano somiglianze che
vengono soltanto celate dietro diverse denominazioni:
“Vedo dappertutto il maomettismo,
sebbene non trovi Maometto”.
Non manca una sottile ironia che i due
corrispondenti profondono nelle loro missive, con apparente
ingenuità:
“I francesi non parlano quasi mai
delle loro mogli: hanno paura di parlarne davanti a persone che le
conoscono meglio di loro”.
L’ironia è spesso rivolta, più o
meno direttamente, verso la religione cristiana e le sue
incongruenze:
“A Parigi, mio caro Rhedi, sono
molti i mestieri. Qui un uomo servizievole viene a offrirvi, per
pochi soldi, il segreto della fabbricazione dell’oro. Un altro vi
promette di farvi andare a letto con gli spiriti celesti, purché non
vediate una donna per soli trent’anni”.
Ironia unita, anche per questi temi, al
relativismo:
“Mi sembra, Usbek, che i nostri
giudizi sulle cose siano sempre segretamente condizionati dai nostri
punti di vista. Non mi sorprende che i negri dipingano il diavolo di
una bianchezza abbagliante e i loro dèi neri come il carbone, che la
Venere di certi popoli abbia mammelle che le pendono fino alle cosce,
e che infine tutti gli idolatri abbiano rappresentato i loro dèi con
una raffigurazione umana, attribuendo loro tutte le proprie
inclinazioni. È stato detto molto bene che se i triangoli creassero
un dio, lo farebbero con tre lati”.
Ma non vi è soltanto la descrizione
della società francese da parte dei due stranieri a stravolgere le
concezioni rigide e ottuse di una società egocentrica come quella
francese del Settecento.
Montesquieu ricorre pienamente anche
alla metafora, tra cui la più importante è indubbiamente quella del
serraglio di Usbek a Ispahan, che “mette a nudo le dinamiche
relazionali del dispotismo” (così Binni).
Abbandonato dal padrone per il viaggio
in Europa, il serraglio è gestito da eunuchi che tentano dapprima un
approccio morbido, su indicazione dello stesso Usbek, per poi passare
ad un vero e proprio clima di terrore che ne causerà la drammatica
implosione.
Usbek, così severo e attento nel
giudicare i costumi e la società francesi con curiosità e
avversione per ogni intolleranza, è egli stesso fondamentalmente un
despota, con il suo potere di vita e di morte che esercita (a
distanza) nel serraglio, dove la donna è “inutile ornamento
(…), custodita per l’onore e non per la felicità del suo sposo”.
Ci vorrà poco tempo perché cada il
mistero sul reale autore delle Lettres
persanes, che varranno a Montesquieu un successo immediato
e clamoroso, a livello europeo, ma anche l’avversione dei poteri
forti, in primis la Chiesa di Francia, più volte punzecchiata nel
libro.
Le Lettere persiane contengono
anche diverse riflessioni giuridiche che costituiscono i prodromi
degli argomenti che Montesquieu svilupperà nel suo capolavoro più
conosciuto, Lo spirito delle leggi:
“Ho spesso riflettuto su quale
fosse il governo più conforme alla ragione. Mi è sembrato che il
più perfetto sia quello che raggiunge i suoi fini con il minimo
sforzo; così, il governo che guida gli uomini nel modo più conforme
alle loro attitudini e inclinazioni è il più perfetto”.
Il diritto nel suo complesso, incluso
quello penale, su cui, proprio in quel secolo, comincerà una seria
riflessione sull’efficacia deterrente delle pene più severe:
“Tieni conto, mio caro Rhedi, che
in uno stato non sono le pene più o meno crudeli a far obbedire di
più alle leggi. Nei paesi in cui sono moderate, le punizioni sono
temute quanto nei paesi in cui sono tiranniche e spaventose”.
Ancora, Montesquieu elabora pensieri
assai raffinati sul costituzionalismo (ante-litteram) e sui limiti
del potere legislativo:
“È vero che, per una bizzarria
che deriva più dalla natura che dalla mente degli uomini, talvolta è
necessario cambiare certe leggi. Ma è un caso raro, e quando accade
bisogna intervenire con mano tremante: bisogna osservare tali
solennità e seguire tali precauzioni, in modo che il popolo ne
deduca naturalmente che le leggi sono veramente sacre, visto che
occorrono tante formalità per abrogarle”.
Alcune riflessioni sono l’avanguardia
del pensiero illuminista che proprio in quel secolo si svilupperà:
“la storia è piena di guerre di
religione. Ma bisogna fare molta attenzione: non è stata la
molteplicità delle religioni a produrre queste guerre, ma lo spirito
di intolleranza che animava la religione che si credeva dominante”.
Lettere persiane di Montesquieu
è in definitiva un grandissimo libro poliedrico, affascinante,
pregno di riflessioni e di interrogativi.
È un libro che ha l’evidente intento
di ribaltare le concezioni assolute, la megalomania del pensiero,
facendo emergere tutte le contraddizioni insite nell’uomo, di ogni
etnia e cultura.
Un classico del Settecento che dietro
un’apparente leggerezza nasconde una profondità di pensiero che
farà di Montesquieu una delle intelligenze più stimate del secolo,
uno degli imprescindibili grandi saggi dell’illuminismo francese ed
europeo.
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