24 dicembre 2014

Le idi di marzo, di Colleen McCullough

Le idi di marzo (The October Horse), di Colleen McCullough

Anno di prima pubblicazione: 2002

Edito da: Rizzoli

Voto: 10/10

Pagg.: 858

Traduttore: Isabella Zani

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Le idi di marzo è il sesto libro della saga romana della McCullough, I signori di Roma, che narra le vicende della Roma tardo-repubblicana, da Caio Mario sino all’avvento di Augusto.

Questo libro (che nelle intenzioni dell’autrice avrebbe dovuto essere l’ultimo della serie, la quale invece proseguì con “Cleopatra”), narra, in particolare, le intricate vicende politiche e belliche che si susseguirono dalla fine della battaglia di Farsalo (48 a.C., narrata nel precedente libro, Cesare – Il genio e la passione, per il quale vedi qui) e la battaglia di Filippi (42 a.C.).
In mezzo, il celebre episodio del cesaricidio, avvenuto nel giorno che dà il titolo all’edizione italiana del libro (il titolo in inglese fa comunque riferimento a Cesare, mediante una riuscita metafora tra il sacrificio del miglior cavallo romano, che si faceva durante il cosiddetto October Equus, e l’assassinio di Giulio Cesare, il miglior cavallo da guerra romano sacrificato per tentare di ridare vita ad una Repubblica che ormai si era inesorabilmente avviata verso il tramonto).

Dopo la battaglia di Farsalo, primo grande scontro della guerra civile tra Cesare e la fazione senatoriale degli Ottimati capeggiata da Pompeo Magno, quest’ultimo, miseramente sconfitto, era fuggito in Egitto, dove aveva trovato la morte per mano del Re Tolomeo, il quale tentava in tal modo di ingraziarsi il trionfatore.
Cesare arriva dunque in Egitto, dove vendica la morte di Pompeo Magno, che pur essendogli nemico era comunque un nobile romano, comandante di un esercito e grande conquistatore di nuove terre annesse a Roma.
In Egitto, Cesare incontra la Regina Cleopatra con la quale scoppia una reciproca attrazione che li porterà a concepire il futuro Re Tolomeo Cesare detto Cesarione.
Cleopatra era ella stessa in conflitto con alcuni componenti della famiglia reale, tra cui lo stesso Tolomeo (suo fratello), e chiese la protezione di Cesare, seducendolo e vedendo in lui, considerato ormai alla stregua di un dio, l’unico uomo capace di dare all’Egitto una dinastia forte.
Cesare restò diversi mesi in Egitto dove combatté Tolomeo e la sua armata nella città di Alessandria e nel delta del Nilo, fino all’ennesima vittoria militare.
Fu però in tal modo ritardata la ripresa della guerra civile: gli ottimati che si erano salvati da Farsalo rinserravano le fila nella Provincia Africana, sotto il comando militare di Tito Labieno e Gneo Pompeo (figlio di Pompeo Magno) e la guida politico-morale di Marco Porcio Catone, antenato del più celebre Marco Porcio Catone “il Censore” e tra i più fermi sostenitori della causa repubblicana e dell’anticesarismo.
Quel Catone che, in un bellissimo capitolo del libro, conduce due legioni via terra, in mezzo al deserto, dalla Cirenaica fino alla Provincia Africana, in un’impresa che viene definita, evocando Senofonte, “la marcia dei diecimila di Catone”.
Questi giunge dunque ad Utica, città dal quale deriverà il soprannome “Catone Uticense” per distinguerlo dal celebre avo.

Per gli ottimati non vi era speranza contro l’invincibilità militare di Cesare, ed infatti Gneo Pompeo e Labieno capitolarono, con Catone che preferì il suicidio piuttosto di offrirsi al perdono di Cesare, ormai celebre per la sua “clemenza”, una strategia utilizzata per non fare la fine di Silla, il quale, con la sua famigerata proscrizione, si era attirato l’odio del Senato.
Pompeo e Labieno si rifugiarono in Spagna, ma anche lì trovarono la sconfitta, questa volta definitiva, a Munda. Proprio a Munda Cesare passerà del tempo con quello che diventerà il suo successore e figlio adottivo, il pronipote Caio Ottavio (che dopo l’adozione diventerà Caio Giulio Cesare Ottaviano); un ragazzo in cui Cesare intravedeva un enorme potenziale, nonostante si trattasse, a detta di tutti, di un giovanotto effemminato, di salute cagionevole, anche se scaltro e già abile politicamente, nonostante la giovanissima età.
Cesare torna a Roma, dove ha tempo di dedicarsi alla legislazione e alla rinascita di una città che, per troppo tempo, era stata abbandonata a se stessa (o a figure di dubbia moralità e capacità come quel Marco Antonio, parente di Cesare, ottimo militare e stratega ma personaggio stravagante e apparentemente inadatto a governare una realtà come Roma).
Tra le più grandi riforme introdotte da Cesare, di quelle che hanno resistito fino ai giorni nostri, quella del calendario cosiddetto giuliano, con il quale, per la prima volta, si uniformò il calendario civile al ciclo delle stagioni.
Un’innovazione che venne consacrata tramite la denominazione in onore di Cesare di uno dei mesi (luglio), su iniziativa di Marco Antonio, e nel generale clima di venerazione nei confronti del più volte dittatore e console di Roma.
Cesare emanò anche molti provvedimenti a favore del popolo, che generarono un’enorme affezione verso la sua figura, tanto da venir considerato un dio ormai anche dai romani, se non in vita, sicuramente dopo la sua morte (con il culto del Divo Giulio).
Se il favore popolare verso quell’uomo, che venne infine dichiarato dittatore a vita, continuava a montare, montava anche nei suoi confronti l’astio (per alcuni un vero e proprio odio viscerale) della cosiddetta “prima classe”, quei senatori influenti, molti dei quali ex ottimati perdonati da Cesare, che vedevano in Cicerone la propria figura di spicco (dopo la morte di Catone).
Uomini gettati nell’ombra dalla infinita grandezza di Cesare, che proprio quando si apprestava a partire per tentare la conquista del Regno dei Parti, a est della Siria, per seguire le orme del grande Alessandro Magno, venne assassinato in una congiura messa in atto nel giorno delle idi di marzo, con la complicità di Marco Antonio, anch’egli oscurato da Cesare, dal quale sperava di ottenere la nomina a erede e prendere così il suo posto sulla scena politica romana.
Tra i 23 congiurati, vi erano anche alcuni dei fedelissimi legati di Cesare durante le guerre galliche (che dovevano a lui soltanto il successo e che pure provavano invidia per quell’uomo perché non permetteva loro di emergere): Caio Trebonio e Decimo Bruto (quest’ultimo paradossalmente istituito da Cesare tra i suoi eredi minori nel testamento). Vi erano poi, tra le figure di spicco del cosiddetto “Circolo liquida Cesare”, Caio Cassio (uno dei perdonati da Cesare, ma che covava un rancore infinito), e quel Marco Giunio Bruto (anch’egli perdonato dopo Farsalo, ove aveva combattuto per Pompeo Magno), che si unì a malincuore all’impresa (visto che Cesare vedeva in lui un buon elemento, tanto da avergli affidato incarichi importanti), probabilmente sotto la spinta della moglie Porzia, figlia di Catone, che sembrava aver infuso ai suoi discendenti il viscerale senso di odio verso Cesare.

Morto Cesare, a Roma scoppia il caos, diversamente da quanto si immaginavano i cosiddetti "Liberatori", i quali credevano, con tale azione, di ristabilire la Repubblica nella sua versione precedente all’escalation autocratica del dittatore, da molti accusato di voler diventare il nuovo Re di Roma (ambizione che egli aveva sempre negato, non nascondendo tuttavia di ritenere la sua carica già simile a quella di un rex, un termine che rimaneva soltanto un nome, un titolo privo di significato che poteva benissimo essere sostituito dal nome “Cesare”, come in effetti sarebbe avvenuto in futuro).
Marco Antonio, che aveva cercato di riportare la calma concedendo una sospetta amnistia agli assassini, è infuriato per non essere stato nominato nel testamento di Cesare, che gli ha preferito quell’effeminato di Ottavio, il quale, astutissimo, inizia a cavalcare il mito del padre adottivo, ormai consacrato a dio dal popolo di Roma, imitandone gesti e atteggiamenti.
Quasi tutti i cesaricidi, in preda al panico, si sono allontanati da Roma, riuscendo poi a rinserrare le fila attorno alle figure di Cassio, Bruto e Decimo Bruto.
Ma Ottaviano è ormai lanciatissimo: nonostante i neanche vent’anni di età è adorato dalle vecchie legioni di Cesare e sembra un politico navigato, riuscendo a far passare i provvedimenti voluti, tra cui quello che incrimina gli assassini di Cesare. Ha deciso, infatti, di non seguire la strada della clemenza, che ha decretato la fine del suo amato padre adottivo.
Ottaviano riesce a tenere a bada Marco Antonio, che vorrebbe schiacciarlo sotto il peso della sua forza militare, e insieme riesce a calmare il Senato, una parte del quale vede in lui una minaccia, ma non grande quanto quella, più imminente, di Antonio.
Ottaviano, Marco Antonio e Lepido, che sono stati sul punto di un’ennesima guerra civile per il controllo di Roma, arrivano ad un compromesso, soprattutto grazie all’abilità del giovane erede di Cesare. Formano così un triumvirato, che getta Roma nel terrore (nuove proscrizioni seguono il brutale assassinio di Cicerone, che si era scagliato contro Antonio). L'obiettivo dei tre è quello di dare la caccia ai cesaricidi, Cassio e Bruto in primis, che hanno assunto di fatto il controllo di svariate province nell’est (dalla Macedonia alla Siria), e che si stanno armando ed equipaggiando per lo scontro decisivo.
Uno scontro che avverrà nell'allora Provincia macedone, a Filippi, in una battaglia tanto epocale quanto convulsa, che vedrà Bruto e Cassio morire suicidi (quest’ultimo nell’errata convinzione di essere sul punto di venir catturato dagli uomini di Antonio). Una battaglia dominata dalla sapienza militare di Antonio ma anche dal coraggio di Marco Agrippa, il giovane fedelissimo amico di Ottaviano che permetterà a quest’ultimo di non sfigurare in una battaglia vissuta nelle retrovie dal giovane erede di Cesare, a causa di una condizione fisica assolutamente misera, unita all’assenza di qualunque dote militare.
La vendetta è compiuta.

La McCullough supera se stessa in questo romanzo storico di quasi 900 pagine, che ciò nonostante si legge tutto d’un fiato, con un coinvolgimento assoluto del lettore.
Davvero una gradevolissima sorpresa questa serie di romanzi della McCullough, che riesce a tenere sempre viva l’attenzione (anche se, c’è da dire, è aiutata dall’estrema frenesia degli eventi di quel periodo).
L’autrice descrive alla perfezione, con la medesima intensità, sia gli intrighi politici sia le battaglie.
Da una donna (e soprattutto dall’autrice di Uccelli di Rovo), ci si sarebbe potuti aspettare una caduta nel “rosa” (vista anche la presenza di figure come Cleopatra, Cesare, Marco Antonio, che ben si prestavano ad uno sconfinamento nel passionale). Invece, le situazioni non propriamente storiche sono limitate al minimo, con ricostruzioni che, quando non sono proprio storicamente verificate, sono quanto meno verosimili.
Un aspetto importante di questi romanzi, infatti, è proprio il grosso lavoro di documentazione e di ricerca che ha consentito alla McCullough di fornire un resoconto fedele di quegli anni.
Ma la McCullough ha fatto molto di più. In quei pochi momenti in cui infatti si è discostata dalle versioni più celebri delle ricostruzioni storiche dell’epoca, ha proposto delle sue teorie, oppure appoggiato teorie meno famose (ma probabilmente più verosimili), sulla base della sua esperienza personale.
Innanzitutto, la McCullough (che prima di essere una scrittrice è stata a lungo medico e docente di neurologia a Yale) tenta di fornire una spiegazione medico-clinica di alcuni episodi storici, sulla base dell’assunto, condivisibilissimo, secondo cui anche in passato (e segnatamente nella Roma antica) dovevano esserci state alcune malattie di larga diffusione, tanto comuni quanto poco riportate nei resoconti storiografici (forse perché avrebbero inficiato la magniloquenza delle narrazioni).
Così Cesare sarebbe stato molto probabilmente affetto da episodi di epilessia e, secondo la McCullough, avrebbe avuto le vene varicose, patologia che lo portò ad indossare quegli alti stivali rossi da molti ritenuti come l’ennesimo simbolo della sua pretesa di essere considerato il rex, il re di Roma.
Ottaviano avrebbe con tutta probabilità sofferto di asma, il che spiegherebbe sia la sua insofferenza verso le attività fisiche, i viaggi e le esercitazioni militari, sia il suo comportamento durante la battaglia di Filippi, quando il suo campo venne assaltato dai soldati di Bruto e lui si trovava lontano dall’accampamento, molto probabilmente non per codardia ma per cercare aria respirabile in quell’inferno di polvere che era diventata Filippi durante lo scontro.
La McCullough riabilita Cleopatra, molto spesso etichettata come una figura lasciva, come una meretrice. Una versione di lei che, con tutta probabilità, venne propugnata da Ottaviano, geloso e forse intimorito dai trascorsi di Cleopatra con Cesare e dal figlio avuto dai due, l’unico figlio maschio a poter vantare la discendenza diretta da Cesare, sebbene ciò, secondo le leggi romane, fosse una caratteristica molto meno importante di quella che a Cesarione mancava sicuramente: la cittadinanza romana.
Cleopatra era tutt’altro che avvezza a concedersi al primo venuto. Lei, una tolemaide, regina e faraone d’Egitto e quindi considerata alla stregua di un dio, poteva unirsi soltanto con gente del suo (elevatissimo) rango. Quando arrivò in Egitto, Cesare era già considerato un dio, almeno in oriente, e per Cleopatra venne naturale concedersi ad egli per generare una discendenza che avrebbe calmato gli dei e portato nuovamente il Nilo nei cubiti dell’abbondanza, dopo anni di carestia. La relazione successiva con Marco Antonio, invece, fu incentivata, molto probabilmente, dal fatto che egli era parente di Cesare, quindi con il sangue della gens Giulia, e perciò in grado di fornire una sorella a Cesarione, affinché regnasse col fratello sull’Egitto del futuro.
Infine, l’episodio cruciale dell’assassinio di Cesare, a cui la McCullough, nei suoi ultimi istanti di vita, non mette in bocca nessuna parola, a dispetto della celebrata tradizione che vorrebbe il dittatore essersi rivolto a Bruto con il famoso “Tu quoque, Brute, fili mi!”. Una tradizione ripresa da Shakespeare nel suo “Giulio Cesare” (dove le parole finali del dittatore diventano “Et tu, Brute?”).
La McCullough fa dunque morire Cesare in silenzio, sfigurato dalle pugnalate, una delle quali inferta al volto da Caio Cassio, invidioso del suo fascino, con Bruto che lo pugnala per ultimo, a cose ormai fatte, nei genitali, come vendetta per i rapporti tra Cesare e sua madre.
Una versione minoritaria (nonostante sia tra le più risalenti), forse per certi versi meno affascinante, ma comunque verosimile.
Del resto, con un racconto così dettagliato, l’autrice ha dovuto molte volte prendere posizione su episodi sui quali non vi è certezza storica e per i quali dunque non ha potuto far altro che abbracciare una delle varie fonti, come nel caso del numero di coltellate effettivamente inflitte a Cesare (18 o 23), del modo in cui andarono le fasi preparatorie della congiura, del presunto furto dei fondi bellici da parte di Ottaviano.
In ogni caso, l’abilità storica della McCullough è davvero sorprendente, e lo dimostra un ulteriore aspetto. Nonostante il pericolo di far calare la suspence, l’autrice dedica intere parti del romanzo ad aspetti organizzativi e logistici, per far comprendere quanto difficoltoso fosse il reperimento dei fondi e l’approvvigionamento del necessario per far funzionare una legione o un esercito di svariate legioni, oppure per prepararsi ad una battaglia campale. Aspetti invero interessantissimi e tutt’altro che noiosi, che denotano anzi una completa padronanza delle vicende narrate, incluse quelle complicatissime attinenti l’organizzazione militare.
Non per niente questa serie di romanzi su Roma antica è valsa alla McCullough una meritata laurea honoris causa in lettere.

In conclusione, Le idi di marzo è un romanzo davvero superlativo, a mio avviso anche migliore del già bellissimo “Caesar”.
L'autrice, secondo le sue stesse parole, ha voluto "soffiare un alito di vita nella storia, senza distorcerla".
Operazione riuscita in pieno, perché i personaggi del romanzo non possono che apparire vivissimi agli occhi del lettore: il Cesare calcolatore e magnanimo, il folle Marco Antonio, l'astuto e ambiguo Ottaviano, l'inesperta e impulsiva Cleopatra.
Una lettura indispensabile per gli amanti della storia antica e dell’antica Roma in particolare. Ma anche per chi non lo fosse. Perchè, dopo aver letto un libro come questo, non potrà che diventarlo.

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