Anno di prima pubblicazione: 1524
Edito da: CreateSpace Independent
Publishing Platform (Amazon.co.uk), Barbes, Antenore
Voto: 8/10
Pagg.: 130 (nell'edizione Amazon)
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La prima circumnavigazione del globo,
compiuta da una spedizione del Re di Spagna Carlo I, capitanata dal
portoghese Ferdinando Magellano (e, dopo la sua morte, da Juan
Sebastian Elcano) è una delle più grandi imprese della storia della
navigazione, sebbene il prezzo pagato per portarla a termine sia
stato assai oneroso: delle cinque navi salpate da Siviglia il 10
agosto 1519, solo due tornarono in Spagna, la Victoria, dopo oltre
tre anni, e la Trinidad, dopo circa sei (quest’ultima peraltro
senza compiere la circumnavigazione, avendo preferito, una volta
giunti alle Molucche, ritornare in patria passando dal Pacifico
anziché dall’Oceano Indiano); dei 234 uomini partiti, solo 36
sopravvissero all’estenuante viaggio.
Tra di essi vi era Antonio Pigafetta,
nobile vicentino, Cavaliere di Rodi, che si trovava in Spagna nel
1519 quando seppe della spedizione di Magellano, sulla quale riuscì
ad imbarcarsi grazie alla raccomandazione del nunzio pontificio che
lo stesso Pigafetta accompagnava: “(…) deliberai, con bona grazia
de la maestà cesarea e del prefato signor mio, far esperienzia di me
e andare a vedere quelle cose, che potessero dare alcuna satisfazione
a me medesimo e potessero partorirme qualche nome appresso la
posterità”.
Studioso di matematica e astronomia, il
vicentino entrò presto nelle grazie di Magellano, diventando suo
attendente. Durante la navigazione, Pigafetta tenne un dettagliato
diario di viaggio, nel quale riportò minuziosamente “le grandi ed
ammirabili cose che Dio me ha concesso di vedere e patire ne la
infrascritta mia longa e pericolosa navigazione”. Il resoconto del
viaggio, redatto a partire da tale diario, venne pubblicato nel 1524
nella Repubblica di Venezia. In Spagna, infatti, nonostante il suo
trionfale rientro assieme ad Elcano, il suo diario non aveva avuto
fortuna e fu anzi occultato per nascondere i meriti che Magellano, un
portoghese (!), aveva avuto in cotanta impresa, meriti ben
evidenziati nel racconto del vicentino.
La spedizione era volta a cercare una
via alternativa (e più breve) per giungere alle Molucche, arcipelago
indonesiano ricchissimo di spezie, per evitare la circumnavigazione
dell’Africa, le cui coste occidentali e meridionali erano
controllate dai portoghesi. Un proposito, quello concordato con Re
Carlo I, che Magellano, almeno inizialmente, tenne per se: “non
volendo manifestare a niuno de li suoi el viaggio che voleva fare,
acciò non fosse smarrito in pensare de fare tanto grande e stupenda
cosa” (a maggior ragione considerando che “li capitani sui che
menava in sua compagnia, lo odiavano molto non so perchè, se non
perchè era Portughese ed essi Spagnoli”).
Dopo una sosta di rifornimento alle
Isole Canarie (già dominio spagnolo), le navi attraversarono
l’atlantico (dove Magellano dovette fronteggiare il primo di una
lunga serie di ammutinamenti), giungendo in Brasile (che Pigafetta
chiama “terra del Verzin”).
Il resoconto alterna sicure esagerazioni (o, per lo meno, degli equivoci):
"Vidi molti pesci che volavano"
…a racconti riguardanti le novità del Nuovo Mondo che oggi, dopo 500 anni, ci fanno quanto meno sorridere:
"Queste batate sono al mangiare come castagne e longhe come napi".
Dal Brasile le navi si spostarono nell’odierna Argentina. Già prima di partire, Magellano era convinto di trovare il passaggio verso il Pacifico in corrispondenza del Rio de la Plata (dove oggi si trova Buenos Aires), confortato in ciò da una mappa geografica dell’epoca. Ma dopo lunghe ricerche, il portoghese si convinse che così non era e continuò dunque la navigazione lungo la costa sudamericana, giungendo in Patagonia, dove, incontrando i primi rigori dell’inverno australe, decise di svernare in una baia che battezzò Puerto San Julian.
Lungo la costa sudamericana,
l’equipaggio aveva incontrato varie specie di animali sconosciuti,
tra cui quelli che Pigafetta chiama “occati” (i pinguini), i
quali "non volano e vivono de pesce" e i “lupi marini”
(leoni marini) i quali "non hanno gambe, se non piedi tacadi al
corpo".
Ma incontrano anche diverse popolazioni
autoctone, tra cui “uomini che se chiamano Canibali e mangiano la
carne umana”.In Patagonia trovarono invece una popolazione indigena di statura elevata, che in preda ad una romantica forzatura Pigafetta definisce “giganti” (“Li Giganti Patagoni”).
“Un dì a l'improvviso vedessemo un uomo, de statura de gigante…”
“Passati 15 giorni, vedessemo quattro de questi giganti”.
Le popolazioni patagoniche erano invero
più alte della media (1,80 m contro la media degli europei
dell’epoca che si aggirava attorno agli 1,50 m), ma di sicuro
tutt’altro che giganti.
Probabilmente quando Pigafetta
riferisce di aver incontrato un uomo “tanto grande che li davamo
alla cintura” o esagerava (come quando sostiene che “Certamente
questi giganti correno piú [dei] cavalli”) oppure si riferiva,
seppure improbabilmente, a un indigeno di altezza notevolmente oltre
la media.L’equipaggio potrebbe esser stato tratto in inganno, prima di vederli effettivamente, dalle impronte che videro sulla terraferma, che risultavano in effetti enormi, in quanto gli indigeni calzavano degli ingombranti mocassini ottenuti con la pelle del guanaco (lama selvatico presente nella regione).
Da ciò deriva, con tutta probabilità (perché c’è almeno un’altra teoria), lo stesso nome dei Patagoni (da pata-gones, piedi grandi in spagnolo) e di conseguenza della loro terra, la Patagonia.
“Il capitano generale nominò questi popoli Patagoni”.
Magellano decise di catturare due di questi indigeni usando l’astuzia (visto che con la forza sarebbe stato assai arduo): sommerse le loro mani di doni di ogni genere e a quel punto fece bloccare i loro piedi con delle catene.
Trascorso l’inverno a Puerto San
Julian, la flotta (che intanto aveva perso una nave in un naufragio)
ripartì verso sud per cercare l’agognato sbocco sul Pacifico. Il
21 ottobre 1520 giunsero ad un promontorio che battezzarono “Capo
delle undicimila vergini” (oggi solamente “Cabo Virgenes”) in
quanto in quel giorno si festeggiava la ricorrenza di Sant'Orsola e
delle undicimila vergini.
A Cabo Virgenes furono mandate due navi
in avanscoperta, le quali tornarono dopo alcuni giorni con la gioiosa
notizia: avevano trovato la via verso il Pacifico in quello che
sarebbe diventato lo “Stretto di Magellano”. Ecco il resoconto
della storica scoperta:
“Andando a 52 gradi al medesimo polo,
trovassemo nel giorno delle Undecimila vergine uno stretto, el capo
del quale chiamammo Capo de le undece mila Vergine, per grandissimo
miracolo. Questo stretto è longo cento e dieci leghe, che sono 440
miglia, e largo più o manco de mezza lega, che va a riferire in un
altro mare, chiamato mar Pacifico, circondato da montagne altissime
caricate de neve. Non [g]li potevamo trovar fondo se non con lo
proise in terra in 25 e 30 brazza. E se non era el capitano generale
non trovavamo questo stretto, perchè tutti pensavamo e dicevamo come
era serrato tutto intorno: ma il capitano generale, che sapeva de
dover fare la sua navigazione per uno stretto molto ascoso, come vide
ne la tesoreria del re di Portugal in una carta fatta per quello
eccellentissimo uomo Martin di Boemia, mandò due navi, Santo Antonio
e la Concezione, che così le chiamavano, a vedere che era nel capo
della baia.
Noi, con le altre due nave, la
capitania, [che] se chiamava Trinidade, l'altra la Victoria, stessemo
ad aspettarle dentro ne la baia. La notte ne sopravvenne una grande
fortuna, che durò fino a l'altro mezzogiorno, per il che ne fu forza
levare l'ancore e lasciare andare de qua e de là per la baia. A le
altre due navi li era traversia e non potevano cavalcare uno capo,
che faceva la baia quasi in fine, per venire a noi, sì che le era
forza a dare in secco. Pur accostandose al fine de la baia, pensando
de essere persi, vitteno una bocca piccola, che non pareva bocca, ma
uno cantone, e come abbandonati se cacciarono dentro, sì che per
forza discoperseno el stretto; e vedendo che non era cantone, ma uno
stretto de terra, andarono piú innanzi e trovarono una baia. Poi,
andando più oltra, trovarono uno altro stretto e un'altra baia più
grande che le due prime. Molto allegri, subito voltorno indietro per
dirlo al capitano generale.
Noi pensavamo fossero perse, prima per
la fortuna grande, l'altra perchè erano passati dui giorni e non
apparevano, e anco per certi fumi che facevano dui de li sui mandati
in terra per avvisarne. E così stando sospesi, vedemmo venire [le]
due navi con le vele piene e con le bandiere spiegate verso di noi.
Essendo così vicine, subito scaricarono molte bombarde e gridi; poi
tutti insieme, rengraziando Iddio e la Vergine Maria, andassemo a
cercare più innanzi”.
Le navi giunsero al Pacifico in
corrispondenza di quello che non poteva chiamarsi altrimenti che
“Cabo Deseado”.
Dopo l’ennesimo ammutinamento, una
nave fece dietrofront, come peraltro era stato proposto, per chi
avesse così voluto, da Magellano ai comandanti. Le tre navi rimaste
navigarono nel Pacifico per oltre tre mesi. La traversata fu
particolarmente gravosa, anche perché, secondo le ipotesi di
Magellano, avrebbe dovuto durare solo un mese: malattie e carenza di
cibo decimarono l’equipaggio, che visse in condizioni disperate,
prima di raggiungere le Isole Marianne. Qui gli europei si dovettero
confrontare con l’odiosa attitudine al furto degli indigeni, che
portò ad alcuni scontri.
Le navi ripartirono e giunsero nelle
Filippine, dove si fermarono per diversi mesi e dove tentarono
un’opera di conversione dei sovrani locali, con alterne fortune.
Quando uno dei Re decise di sottomettersi alla corona spagnola scoppiò
una rivolta nell’isola di Mactan, per sedare la quale Magellano
decise di usare la forza. Nei violenti scontri che ne seguirono
l’ammiraglio perse la vita. Era il 27 aprile dell’anno 1521.
I sopravvissuti fuggirono nel Borneo,
rimanendo oltre un mese a Brunei, per poi giungere infine, con due
navi e con un equipaggio decimato, alle agognate Molucche. Come
detto, le due navi si separarono scegliendo due strade diverse per il
ritorno alla madrepatria. Pigafetta rimase nella nave che portò a
compimento la circumnavigazione del globo, attestata da una curiosa
scoperta: avendo superato la linea del cambio di data, non appena si
trovarono a confrontarsi su che giorno fosse, i reduci scoprirono che
la loro data (di cui erano assolutamente certi) era di un giorno
anteriore.
“Commettessimo a li nostri del
battello, quando andarono in terra, [che] domandassero che giorno
era: me dissero come era a li Portoghesi giove. Se meravigliassemo
molto perchè era mercore a noi; e non sapevamo come avessimo errato:
per ogni giorno, io, per essere stato sempre sano, aveva scritto
senza nissuna intermissione. Ma, come dappoi ne fu detto, non era
errore; ma il viaggio fatto sempre per occidente e ritornato a lo
stesso luogo, come fa il sole, aveva portato quel vantaggio de ore
ventiquattro, come chiaro se vede”.La “Relazione del primo viaggio intorno al mondo” è configurata come un lungo resoconto indirizzato “a l'illustrissimo ed eccellentissimo signor Filippo de Villers Lisleadam, inclito Gran Maistro di Rodi”. Un resoconto strutturato come un reportage socio-geografico, come peraltro ben si evince dal titolo originale “Notizie del Mondo nuovo con le figure dei paesi scoperti”.
Un documento di un’importanza enorme nella storia delle scoperte e della navigazione, sebbene di certo non brilli per meriti prettamente letterari: lo stile è infatti molto didascalico e poco scorrevole. È inoltre molto ripetitivo, soprattutto nelle descrizioni dei vari popoli indigeni, per i quali l’autore usa spesso i medesimi termini, generando alla lunga una sorta di cantilena (“Questi populi vanno nudi come li altri”; “Vanno nudi come li altri”; “Questi popoli de Pulaoan vanno nudi come li altri”…).
Vengono descritti molti usi locali, a volte curiosi, altre raccapriccianti, come quello che impone alle donne di Giava di bruciarsi vive alla morte del marito:
“quando uno uomo de li principali de Giava Maggiore muore, se brucia lo suo corpo: la sua moglie più principale adornasi con ghirlande de fiori e fassi portare da tre o quattro uomini sovra uno scanno per tutta questa villa, e ridendo e confortando li suoi parenti, che piangono, dice: non piangete, perciò [che] me ne vado questa sera a cenare col mio marito e dormire seco in questa notte. Poi è portata al fuoco, dove se brucia lo suo marito, e lei voltandosi contro li suoi parenti e confortandoli una altra fiata, se getta nel fuoco, ove brusa lo suo marito. E se questo non facesse, non saria tenuta donna da bene, nè vera moglie del marito morto”.
Non mancano i racconti “piccanti” delle abitudini sessuali degli indigeni, alcune per il vero parecchio bizzarre e singolari.
Il documento è sicuramente
interessante, anche se a volte un po’ faticoso da seguire (e in ciò
l’italiano vetusto, del ‘500, di Pigafetta non aiuta per niente).
Forse sarebbe meglio affrontarlo con
una base alle spalle, ossia dopo aver letto, da altre fonti meno
difficili da comprendere, i rudimenti del viaggio di Magellano, così
da agevolare poi la comprensione del testo e goderselo appieno.
2 commenti:
In Brasile ci sono dei pesci che volano. Non si tratta di un equivoco neppure di esagerazione.
grazie, non lo sapevo.
pensavo appartenesse alla serie di esagerazioni del resoconto, come quelle relative ai "giganti"
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