Che cos’è un “classico”, in letteratura?
Un concetto passibile di centinaia di definizioni e che difficilmente può mettere tutti d’accordo.
Ai fini della mia classificazione per genere delle recensioni, per indicare i classici ho adottato un criterio squisitamente cronologico: è un classico un libro pubblicato prima del 1950 e tutt’ora edito.
Una definizione ovviamente semplicistica, ma di mero fine utilitaristico.
Rientrerebbero così tra i classici, soltanto di qualche anno, “Se questo è un uomo” di Primo Levi (1947) e “1984” di George Orwell (1949).
Secondo la mia (biasimevole) ripartizione, quest’ultimo sarebbe infatti uno dei primi romanzi di “Narrativa moderna” (libri pubblicati tra il 1950 e il 1999), anche se probabilmente l’etichetta di classico se la meriterebbe tutta.
Eppure adottare un criterio oggettivo ed empirico, per quanto criticabile, è forse il modo migliore per evitare infinite discussioni su cosa debba e cosa non debba rientrare nel concetto di “classico”.
Con quello stesso criterio anche libri di genere (che farebbero storcere il naso, qualora definiti classici tout court), possono così essere definiti a loro volta classici (relativamente a quel genere, è inteso).
Ad esempio, Salgari e Verne hanno scritto classici dell’avventura. Il pressoché sconosciuto “Pot-pourri” di Voltaire è comunque un classico della filosofia. E così via…
Perché il 1949?
Perché è l’anno che chiude il decennio dell’immediato secondo dopoguerra.
Perché è difficile trovare prime edizioni di libri pubblicati prima del 1950 (che non costino una fortuna).
Perché è difficile che al giorno d’oggi vengano riproposte nuove edizioni di libri pubblicati prima del 1950, se non sono veramente dei “classici”. (Questa è una giustificazione invero autoreferenziale, che si scontrerebbe peraltro con alcune abominevoli scelte editoriali, che rendono “Fuori catalogo” libri che non lo meriterebbero).
Perché no, per semplicità.
Una semplicità che sembra venire incontro all’evoluzione letteraria del secolo, se si pensa che proprio nei primi anni ’50 sbocciò quel movimento ribelle e rivoluzionario che è la Beat Generation.
Certo: così facendo, di un autore “classico” che ha scritto romanzi tra gli anni ‘40 e ’50, si etichetterebbero alcuni libri come classici e altri no (magari quelli che sarebbero pure più “classici” dei primi).
Ma tant’è, a questi modesti fini.
Eppure sarebbe interessante proporre anche una definizione ontologica di classico.
Niente di più difficile.
Tra i molti che ci hanno provato, merita di essere ricordato Italo Calvino, con la sua definizione contenuta nell’articolo "Italiani, vi esorto ai classici", in «L'Espresso» del 28 giugno 1981, successivamente raccolto nel saggio “Perché leggere i classici” del 1995.
Una definizione che è, a sua volta, divenuta un “classico”:
“1. I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito: «Sto rileggendo...» e mai «Sto leggendo...» (…)
2. Si dicono classici quei libri che costituiscono una ricchezza per chi li ha letti e amati; ma costituiscono una ricchezza non minore per chi si riserba la fortuna di leggerli per la prima volta nelle condizioni migliori per gustarli. (…)
3. I classici sono libri che esercitano un'influenza particolare sia quando s'impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale. (…)
4. D'un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima.
5. D'un classico ogni prima lettura è in realtà una rilettura. (…)
6. Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire. (…)
7. I classici sono quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attraversato (o più semplicemente nel linguaggio o nel costume). (…)
8. Un classico è un'opera che provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso. (…)
9. I classici sono libri che quanto più si crede di conoscerli per sentito dire, tanto più quando si leggono davvero si trovano nuovi, inaspettati, inediti. (…)
10. Chiamasi classico un libro che si configura come equivalente dell'universo, al pari degli antichi talismani. (…)
11. Il «tuo» classico è quello che non può esserti indifferente e che ti serve per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con lui. (…)
12. Un classico è un libro che viene prima di altri classici; ma chi ha letto prima gli altri e poi legge quello, riconosce subito il suo posto nella genealogia. (…)
13. È classico ciò che tende a relegare l'attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno.
14. È classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l'attualità più incompatibile fa da padrona. (…)”.
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