Anno di prima pubblicazione: 2010
Edito da: Lindau
Voto: 8/10
Pagg.: 276
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Quando si pensa al cinema di regime ai
tempi della Germania nazista ci si ricorda solitamente di Leni
Riefenstahl e dei suoi due più importanti film-documentario in cui
celebrava, rispettivamente, il congresso di Norimberga del 1934 e le
Olimpiadi di Berlino del 1936.
Ma il cinema di propaganda
nazionalsocialista non fu ovviamente soltanto questo, come ci
illustra Ugo Casiraghi in questo interessante saggio, pubblicato
postumo nel 2010.
L'autore comincia l'analisi del cinema
tedesco della prima metà del Novecento partendo dall'espressionismo,
uno dei pilastri artistici del cinema muto europeo.
Passa dunque in rassegna la vita e le
sorti di quei protagonisti del cinema mitteleuropeo che, tra gli anni
Venti e gli anni Trenta, migrarono verso la nuova mecca californiana.
A Hollywood finirono grandi registi,
sceneggiatori e interpreti, maschili e femminili.
Ci andarono per motivi diversi: chi
attirato dai soldi e dallo Studio System (Erich von Stroheim, Josef
von Sternberg, Ernst Lubitsch, Friedrich W. Murnau, Marlene
Dietrich), chi - più tardi - per fuggire dal nazismo (Fritz Lang,
Bertolt Brecht, Otto Preminger).
Particolare è il caso di Georg Wilhelm
Pabst, che si allontanò dalla Germania nazista per poi
incredibilmente tornarvi nel 1939, accettando l'invito di Goebbels a
lavorare per il Terzo Reich.
Ben prima di tali migrazioni di registi
e attori austro-tedeschi si era trasferito in California un gruppo di
ebrei del Centro Europa che aveva di fatto fondato Hollywood, creando
quelle che diventeranno le maggiori case produttrici statunitensi:
Samuel Goldwyn e Louis B. Mayer, Carl Laemmle (fondatore della
Universal), William Fox, i fratelli Warner, Adolph Zukor (Paramount)
e Harry Cohn (Columbia).
La parte centrale del libro, quella più
interessante e consistente, si occupa della Germania degli anni di
Hitler. Naziskino è il provocatorio titolo del capitolo, che
fonde il prefisso ispirato al movimento nazionalsocialista al
suffisso kino, che richiama l'etimologia di cinema (dalla
parola greca che indicava il movimento).
Casiraghi ricorda più volte come
Hitler e Goebbels fossero due veri e propri cinefili, che studiavano
i film di Hollywood con l'ambizione di replicarli (e superarli) in
terra tedesca. Ma il volere del Führer e del suo stretto
collaboratore era soprattutto quello di piegare il mezzo
cinematografico alle intenzioni propagandistiche. Ecco dunque il
ruolo della Riefenstahl, con i già accennati Triumph des Willens
e Olympia, ma anche di una nutrita schiera di meno noti
registi che fornirono a Goebbels le armi per la sua battaglia da
combattere dentro i cinema del Reich.
Il regime tedesco produsse anche, nei
primi anni quaranta, due dei film più abietti della storia del
cinema: entrambi di profondo contenuto antisemita, Süss l'ebreo
e L'eterno ebreo (più noto come L'ebreo errante)
rappresentano due dei punti più bassi toccati dalla settima arte nel
Novecento.
Quando la sconfitta in guerra della
Germania iniziava a farsi sempre più vicina e probabile, il cinema
nazista diventava meno celebrativo e più attento alla questione
della resistenza ad oltranza, magari accennando alle presunte
super-armi promesse da Hitler per volgere le sorti del conflitto a
favore dei tedeschi.
Sta di fatto che la produzione
dell'ultimo film richiesto da Goebbels, dall'arrendevole titolo La
vita continua, fu interrotto dall'arrivo delle truppe sovietiche
negli studi della UFA.
Chiude questo pregevole libro - che ha
tra i suoi maggiori meriti una chiarezza espositiva non sempre così
facile da riscontrare - un capitolo sul cinema Yiddish, la cui sorte
non poteva che ricalcare quella degli ebrei mitteleuropei che
parlavano tale idioma, e un'interessante appendice sul cinema di
regime sovietico ai tempi di Stalin.
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