12 febbraio 2015

Poesie, di Arthur Rimbaud

Poesie (Poésies), di Arthur Rimbaud

Anno di prima pubblicazione: 1891

Edito da: Mondadori, Garzanti, Newton & Compton, CLEUP

Voto: 9/10

Pagg.: 190 (nell'edizione Mondadori - I Meridiani)

Traduttore: Diana Grange Fiori

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Le Poésies di Rimbaud costituiscono, insieme a Une saison en enfer e alle Illuminations, il principale corpus delle opere del grandissimo poeta di Charleville, uno dei più grandi innovatori della poesia moderna.

Le prime poesie della raccolta furono scritte quando Rimbaud non aveva ancora sedici anni e si collocano sulle ali della tradizione parnassiana. Aderendo a questa corrente allora in voga, il poeta sperava che alcune delle sue composizioni venissero pubblicate.
L'esempio di questa prima fase poetica è dato da Credo in unam (in francese Soleil et chair, anche se in italiano è stato preferito mantenere l’originario titolo latino). Una poesia parnassiana, che tuttavia conteneva alcune parti non esattamente ortodosse:

“…Non possiamo sapere! – Siamo oppressi
Da pesante ignoranza e meschine chimere!
Scimmie d’uomini, cadute dalla vulva materna,
La pallida ragione ci sottrae l’infinito…”.

Vi sono anche poesie più semplici e brevi ma già estremamente musicali come Sensation:

“…Et j’irai loin, bien loin, comme un bohémien,
Par la Nature, - heureux comme avec une femme.”

Ofelia è la prima poesia veramente importante di Rimbaud, scritta quando ancora non aveva compiuto 16 anni e ispirata dall’omonimo quadro di Millais e da una precedente poesia del parnassiano Banville.

“Sull’onda calma e nera dove le stelle dormono
Fluttua la bianca Ofelia come un gran giglio, fluttua
Lentissima, distesa sopra i suoi lunghi veli…”

“…Pallida Ofelia! Come neve bella!
In verde età moristi, trascinata da un fiume!
- Calati dai grandi monti di Norvegia, i venti
Ti avevano parlato di un’aspra libertà…”

“…- E il Poeta racconta che al raggio delle stelle
Vieni, la notte, a prendere i fogli che cogliesti,
E che ha visto sull’acqua, stesa nei lunghi veli,
Fluttuare bianca come un gran giglio Ofelia.”




A distaccarsi dai parnassiani, che pure lo avevano accompagnato nella formazione tramite la lettura del Parnasse Contemporain, Rimbaud ci metterà ben poco, iniziando la sua opera di derisione e sbeffeggiamento dei costumi e della società, in particolare verso istituzioni e simboli religiosi.
Lo farà, inizialmente, in La punizione di Tartufo ove esplode il tema dell’anticlericalismo e dell’autoerotismo:

“Attizzando, attizzando l’amoroso cuore sotto
L’abito casto e nero, mano guantata, beato
Un giorno, a spasso, terribilmente mite,
Itterico, sbavando fede dalla bocca sdentata…”

Un allontanamento dal parnassianesimo che sembra venire alla luce anche dai primi temi storici con cui Rimbaud inizia a cimentarsi (i Parnassiani rifiutavano l’impegno politico-sociale dell’artista). Anche se non si sa bene quanto effettivamente queste prime poesie “storiche” di Rimbaud siano legate ad un concreto desiderio di impegnarsi.
In ogni caso, le prime tematiche storiche sono legate alla rivoluzione francese, e compaiono con Il fabbro, lungo monologo di un fabbro che sobilla la folla davanti a Luigi XVI nel palazzo delle Tuileries:

“Col braccio sul martello gigante, tremendo
D’irruenza e grandezza, fronte vasta, ridendo
Come una tromba di bronzo, con tutta la bocca,
E avvinghiando allo sguardo feroce quel grassone,
Il Fabbro parlava con Luigi Sedici, un giorno
Che il popolo smanioso gli stava intorno,
Strusciando su quegli ori i suoi panni sporchi…”

“…Oh! Andremmo più forti alla fucina ardente,
A cantare gioiosi martellando l’incudine,
Se fossimo sicuri di avere almeno in parte,
Dato che siamo uomini! Quello che dona Iddio!...”

“…Il Popolo non è più una puttana. Tre passi, e noi tutti
Abbiamo ridotto in polvere la tua Bastiglia.
Una bestiaccia che trasudava sangue da ogni pietra
Ed era sconcia, la Bastiglia in piedi
Con i muri rognosi che ci raccontavano
Tutto, tenendoci rinchiusi in quel buio!...”

Un’ode che sembra in realtà più prosa che poesia, soprattutto dopo la traduzione, dove per poter rimanere aderenti all’originale si perdono quasi interamente rima e metrica. Tanto da farla sembrare quella "prosa rimata" contro cui Rimbaud si scagliò nelle lettere cosiddette del Veggente del maggio 1871.

I temi storici che compaiono anche con il successivo sonetto Morti del novantadue e del novantatré, si alternano con altri decisamente più provinciali legati alle sue esperienze a Charleville: Musica in piazza è la buffa presa in giro della borghesia di provincia, raccontata in una serata trascorsa nella piazza del suo paese natale.

Un salto in avanti deciso nella poetica rimbaudiana avviene con Venere Anadiomene, in cui il Poeta si diverte a deformare impietosamente il simbolo pagano della bellezza in un climax di disgusto:

“Come da una verde bara di latta, una testa
Di donna, dalla bruna chioma impomatata,
Emerge da una vecchia tinozza, ebete e lenta,
Con qualche deficienza maluccio rabberciata;

Poi, il collo grigio e grasso, le ampie scapole
Sporgenti; il dorso tozzo, rientrante e prominente;
Poi le reni rotonde forse prendono il volo;
Sotto la pelle il grasso appare a falde piatte;

La schiena è arrossata, esala da tutto un odore
Orrendo stranamente; si nota soprattutto
Qualche singolarità che richiederebbe una lente…

Le reni portano incise due parole: Clara Venus;
- E tutto il corpo muove e porge l’ampia groppa
Bella, sconciamente, per un ulcera all’ano.”

Prima serata, ha un verso assai più breve e veloce, come una canzone, racchiusa in un efficace ritornello che apre e chiude in modo affascinante la poesia:

“Ella era assai poco vestita
E grandi alberi indiscreti
Gettavano frasche ai vetri,
Maliziosi, vicini, vicini…”.

É la semplice storia di due ragazzi che si baciano e la grandiosità di quest'ode sta nella nitidezza dell'immagine (anche emotiva) che si rappresenta ai nostri occhi:

“…Baciai le sue caviglie fini.
Ella ebbe un dolce riso franco
Che si sgranava in chiari trilli,
Riso leggiadro di cristallo.

I piedini sotto la camicia
Andarono a celarsi: « Smettila! »
- La prima audacia concessa,
Quel riso fingeva di punire!...”

Le repliche di Nina è un fantastico climax di emozioni e visioni che culmina nella risposta di lei che dona un effetto comico surreale:

“…et mon bureau?”
[“…E il mio capufficio?”]

La tecnica dei versi d'apertura che si ripetono nel finale, per donare ritmo all’intera poesia, chiudendola, viene riproposto in Romanzo, anche se in questo caso le due strofe sono diverse, rappresentando il prima e il dopo dell'incontro con la giovane:

“No, a diciassette anni non si può essere seri.
- Una sera, al diavolo le limonate e le birre,
E i caffè rumorosi e le luci splendenti!
- Si va sotto i tigli verdi della passeggiata…”

“… - Bè, quella sera,… - torni ai caffè splendenti,
torni a ordinare limonate o birre…
- No, non si può essere seri a diciassette anni,
Quando i tigli della passeggiata sono verdi.”

La mia bohème è un’altra delle poesie più celebri di Rimbaud, non fosse altro per quel fantastico verso che racconta della spregiudicatezza bohémien delle prime fughe (mentali e non solo) di Rimbaud:

“La mia locanda era l’Orsa Maggiore.”

I seduti, memorabile ode della rivolta, della misantropia che si agitava nel giovane Rimbaud nei confronti dei burocrati dell’esistenza (personificati, questa volta, nei “seduti” della biblioteca di Charleville), colpisce fin dalla bellissima descrizione iniziale:

“Neri di verruche, butterati, inanellati gli occhi
Di verde, rattrappite ai femori le dita
Nocchiute, e l’occipite doppiato di astiosità vaghe
Come sui vecchi muri le fioriture lebbrose;

Innestata in amori epilettici la loro
Estrosa ossatura ai gran scheletri neri
Delle sedie; hanno i piedi avviticchiati
Alle sbarre rachitiche, il mattino e la sera!

Questi vecchi, per sempre intrecciati ai sedili,
Sentono al sole farsi batista la pelle,
Oppure, con gli occhi ai vetri dove la neve sfiorisce,
Tremano del tremito doloroso del rospo…”.

Durante la prima permanenza di Rimbaud a Parigi (eccettuando dunque il primo viaggio in cui finì in prigione appena sceso dal treno), il Poeta compose sia odi non si sa quanto politicamente impegnate (come il Canto di guerra parigino), sia poesie in cui traspare la sua misoginia, come Le mie innamoratine:

“…Pfu! le mie salive prosciugate,
                Scorfano rosso,
Ancora infestano le trincee
                Del tuo seno tondo!...”

Ma soprattutto Rimbaud regala le sue prime descrizioni sensoriali della Ville Lumière ne L'orgia parigina, in cui il giudizio tormentato è comunque affascinato:

“…Benché sia tremendo vederti così offesa;
Benché nessuno mai d’una città abbia fatto
Ulcera più fetida della verde Natura,
Il Poeta ti dice: « La tua bellezza è stupenda! »...”

I poeti di sette anni racconta da una prospettiva privilegiata, quella dell'adolescente, la condizione dell'infanzia:

“E la Madre, chiudendo il libro del Dovere,
Se ne andava, soddisfatta e fiera. Non vedeva
Negli occhi azzurri e sotto la fronte piena
Di protuberanze, l’anima del suo bambino
In preda alle ripugnanze…”

Il battello ebbro, è tra le poesie più significative di Rimbaud, forse la più sregolatamente visionaria. Fu scritta prima di recarsi a Parigi, questa volta su invito di Verlaine, in un periodo in cui Rimbaud si era sentito riconosciuto come poeta dopo aver ricevuto la risposta di quest’ultimo.
É una poesia fortemente simbolica, che narra le vicende di un battello sospinto tra le onde del mare, metafora che è stata interpretata nei modi più svariati, a conferma dell'abilita visionaria di Rimbaud.
È in questa poesia che Rimbaud sembra compiere il suo ideale, quello di diventare Veggente:

“Mentre scendevo lungo Fiumi impassibili,
Non mi sentii più guidato dai trainanti.
Pellirossa chiassosi li avevano inchiodati,
Nudo bersaglio, ai pali variopinti…”

“…So i cieli che si squarciano in lampi, so le trombe
E le risacche e le correnti: io so la sera,
L’Alba eccitata come colombe a stormi, e a volte
Ho visto quel che l’uomo crede di vedere!...”

“…Ho visto fermentare paludi enormi, nasse
Ove imputridisce nei giunchi un Leviatano!
Scrosciare l’acqua nelle bonacce, e lontananze
Crollare a cataratte negli abissi!

Ghiacciai, soli d’argento, madreperla dei flutti, cieli
Di brace! Immondo arenarsi in fondo a golfi bruni
Dove serpenti enormi divorati da cimici
Cadono, con foschi odori, dagli alberi torti!...”

“…Ho visto gli arcipelaghi siderali! E isole
Dai cieli deliranti aperti al vogatore:
- In queste notti immense tu vai in esilio e dormi,
Stuolo d’uccelli d’oro, oh futuro Vigore? –

Ma è vero, ho pianto troppo! Son desolanti le Albe.
Ed è atroce ogni luna, ed è amaro ogni sole:
L’acre amore mi ha enfiato di inebrianti torpori.
Oh esploda la mia chiglia! Oh che io ritrovi il mare!...”

Tra i vari artisti che Rimbaud conobbe durante la sua sosta a Parigi, vi fu anche il musicista Cabaner, le cui idee musicali di associazione nota-colore hanno probabilmente ispirato la più celebre poesia di Rimbaud, nonché una delle più belle: il sonetto Vocali.

“A noir, E blanc, I rouge, U vert, O bleu : voyelles,
 Je dirai quelque jour vos naissances latentes :
 A, noir corset velu des mouches éclatantes
 Qui bombinent autour des puanteurs cruelles,

Golfes d'ombre ; E, candeur des vapeurs et des tentes,
 Lances des glaciers fiers, rois blancs, frissons d'ombelles ;
 I, pourpres, sang craché, rire des lèvres belles
 Dans la colère ou les ivresses pénitentes ;

U, cycles, vibrements divins des mers virides,
 Paix des pâtis semés d'animaux, paix des rides
 Que l'alchimie imprime aux grands fronts studieux ;

O, suprême Clairon plein des strideurs étranges,
 Silences traversés des Mondes et des Anges :
- O l'Oméga, rayon violet de Ses Yeux ! -”

La traduzione di Diana Grange Fiori mi è complessivamente piaciuta, anche se in certe poesie il discostamento dall’originale non porta, a mio avviso, benefici di musicalità.
Proprio in Vocali, per fare un esempio, l’inversione operata nell’ultimo verso del sonetto:
“Oh l’Omega, di quei Suoi Occhi il raggio viola!”
non credo contribuisca a migliorarlo, togliendo anzi la speditezza di una tradizione più letterale:
“Oh l’Omega, raggio violetto dei Suoi Occhi!”.
È sicuramente un compito difficile quello del traduttore di poesie, esposto al giudizio di un lettore che mai come in questo campo è fortemente soggettivo: ci sarà sempre un verso o una parola che al lettore non piacerà, ci sarà sempre una diversa traduzione ritenuta soggettivamente più armonica.
È interessante a tal punto leggere la breve nota sulla traduzione, che precede le opere e che spiega come sia difficile, in certi casi, confrontarsi con versi che in lingua originale sembrano così fluidi e perfetti. È il caso di L’eternità, con la sua prima e ultima strofa (una strofa che si ripete, esattamente come in Prima serata):

“È ritrovata.
Che? – L’eternità.
È il mare andato via
Col sole.”

che mai potrà competere con l’estrema bellezza musicale dell’originale:

“Elle est retrouvée.
Quoi ? - L'Eternité.
C'est la mer allée
Avec le soleil.”

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