27 febbraio 2015

Rimbaud, di Graham Robb

Rimbaud, di Graham Robb

Anno di prima pubblicazione: 2000

Edito da: Carocci

Voto: 9/10

Pagg.: 476

Traduttore: Melania Mascarino, Andrea Palladino

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Arthur Rimbaud è senza dubbio una delle figure più controverse e affascinanti della storia della poesia e della letteratura, un poeta che si colloca ai vertici dell’esperienza simbolista e decadente dell’Ottocento e che a distanza di oltre un secolo dalla sua morte continua ad essere attuale ed impetuoso.

Un poeta le cui produzioni vanno oltre l’idea stessa di poesia e letteratura, continuando ad ispirare artisti di ogni tipo.
Per comprendere l’Arthur poeta, questa ricchissima biografia dell’inglese Graham Robb parte dall’analisi della sua infanzia e dei rapporti con una madre fredda, incapace di mostrare sentimenti. Il padre, un militare, abbandona la famiglia poco dopo la nascita della quinta figlia.
Primo della sua scuola in quasi tutte le materie (inclusa la religione!), Arthur fu un vero bambino prodigio, così bravo con le lingue morte da vincere premi scolastici regionali per componimenti in latino.
Neanche sedicenne iniziò a comporre le prime di quelle poesie oggi raccolte nelle sue antologie (per le Poésies vedi qui).
Il suo stile ricalcava inizialmente quello degli ammirati parnassiani, per poi discostarsene di colpo nell'estate del 1870, quando iniziò a formarsi il vero peculiare stile Rimbaud. Fu in quel periodo che il poeta di Charleville iniziò a dimostrarsi insofferente verso il potere e verso la religione, cominciando a condire di blasfemie e doppi sensi i suoi componimenti.
Rimbaud scoprì che distruggendo e ricostruendo le sue stesse poesie, scritte inizialmente secondo uno stile più classico e tradizionale, si ottenevano effetti strabilianti.
Nel 1870 effettuò il suo primo viaggio a Parigi, finendo però subito in galera per vagabondaggio, appena giunto in stazione, essendo stato trovato senza soldi e con un biglietto irregolare. Intanto la situazione in Francia era sempre più caotica: la guerra contro la Prussia era praticamente perduta e Napoleone III era stato sconfitto.
Rimbaud compì in quel periodo il suo personale Tour de France formativo. I suoi pellegrinaggi lo portarono fino in Belgio, dove trovò lo spunto per diversi sonetti, tra cui la celebre Ma Bohème, in cui confessava di trovarsi a suo agio in quella condizione di eterno vagabondo: “La mia locanda era l’Orsa Maggiore”.
Nel 1871 si spostò continuamente tra la Francia occupata dai prussiani (tra cui la sua Charleville) e una Parigi in cui sbocciava l'esperimento della Comune, a cui Rimbaud prese parte. A Parigi vivrà a lungo nella totale indigenza, dormendo sulle chiatte di carbone e contendendo ai cani gli avanzi di cibo per cercare di nutrirsi.

Fondamentali per comprendere la poetica di Rimbaud sono le due importantissime lettere cosiddette “del Veggente” scritte al suo ritorno a Charleville il 13 e 15 maggio 1871 e indirizzate rispettivamente a Georges Izambard (suo professore di retorica) e Paul Demeny (poeta ed editore conosciuto dopo il primo viaggio a Parigi). In queste due celebri lettere Rimbaud parla della sua concezione del poeta Veggente:
Io dico che bisogna essere veggente, farsi veggente. Il Poeta si fa veggente mediante un lungo, immenso e ragionato sregolamento di tutti i sensi. Tutte le forme d'amore, di sofferenza, di pazzia; cerca egli stesso, esaurisce in sé tutti i veleni, per non conservarne che la quintessenza.
Nella lettera a Demeny, Rimbaud analizza, in un lungo excursus, la poesia antica e moderna, fornendo i suoi giudizi, impietosi o riconoscenti:
I secondi romantici sono molto veggenti : Th. Gautier, Lec[onte] de Lisle, Th. De Banville. Ma siccome indagare l'invisibile e ascoltare l'inaudito è altra cosa che riprendere lo spirito delle cose morte, Baudelaire è il primo veggente, re dei poeti, un vero Dio . Tuttavia ha vissuto in un ambiente troppo artistico; e la forma tanto vantata in lui è meschina: le invenzioni d'ignoto reclamano forme nuove.
(…)
i defunti e gli imbecilli, (…) i fantasiosi, (…) i bohèmes (…), i talenti, Léon Dierx e Sully Prudhomme, Coppée; - la nuova scuola, detta parnassiana, ha due veggenti, Albert Mérat e Paul Verlaine, un vero poeta.
Rimbaud scrisse a Verlaine, che per l’appunto considerava “un vero poeta”, nonché uno dei pochi poeti viventi che potevano essere onorati del titolo di Veggente.
Gli mandò alcune sue poesie, le più indecenti e ambigue, facendo forse affidamento sulla sua latente omosessualità.
Il giudizio di Verlaine fu entusiastico: iniziò a presentare il giovane nei circoli parnassiani e gli mandò del denaro affinché lo raggiungesse a Parigi, dove lo ospiterà.
Rimbaud si sentiva finalmente riconosciuto e compreso e proprio in quei giorni, prima di raggiungere Verlaine a Parigi, compose una delle sue poesie più significative, nonché una delle più complesse e ispirate della poesia moderna, capace di fornire, con il suo simbolismo, miriadi di interpretazioni: il Battello ebbro, Bateau ivre.

Il capitolo della biografia intitolato "Brutti ceffi" è sicuramente uno dei più interessanti, perché descrive l'arrivo di Rimbaud a Parigi e uno degli incontri più importanti della storia della poesia, quello con l'allora ventisettenne Paul Verlaine.
Rimbaud, diciassette anni appena compiuti, il viso ancora da bambino, fece l'impressione di un contadinotto adolescente, sebbene le sue idee fossero fortemente innovative e in certi casi irrispettose.
Incontrando il circolo di poeti parnassiani dei Vilains Bonshommes, Rimbaud avanzò proposte ai limiti dell'eresia, quale quella di abbandonare l'alessandrino, il verso più utilizzato della metrica francese.
Tra quei "burocrati della letteratura" l'idea non poté che essere recepita come l'insolenza di un ragazzino.
La stessa accoglienza ebbe la sua schietta concezione che la poesia prescindesse da quei salotti: come aveva affermato nella lettera del Veggente, il pur osannato Baudelaire (considerato alla stregua di un dio) non aveva potuto esprimere al pieno le sue potenzialità perché confinato in un ambiente troppo artistico.
In questi capitoli, il biografo si sofferma molto anche sulla vita di Verlaine, della sua sposa Mathilde, da cui aspettava un figlio e che costituiva la sua "scialuppa di salvataggio" dall'annegamento nell'assenzio. Si parla della partecipazione di Verlaine alla Comune, che avrebbe potuto costargli molto caro; della vita a casa del suocero ove stava per impazzire.
L'arrivo di Rimbaud fu, in tale contesto, davvero provvidenziale.

Il periodo parigino di Rimbaud fece venire a galla tutta la sua latente follia, sempre alla ricerca dell'estremo, della scintilla capace di tener viva la sua creatività.
Il rapporto con Verlaine divenne sempre più morboso, culminando nella relazione omosessuale che era oramai difficile nascondere all’attenzione pubblica, e che anzi fu esplicitata nel Sonetto del buco del culo, scritto a quattro mani dai due poeti.

Rimbaud si allontanò dalla casa del suocero di Verlaine, per non creare ulteriori problemi in famiglia, e trovò accoglienza presso un gruppo di artisti bohémien noto come Circolo degli Zutistes, tra i quali vi era il musicista Cabaner, le cui idee musicali di associazione tra note, lettere e colori furono alla base di una delle poesie più note e belle di Rimbaud: il sonetto Vocali.
Dopo cinque mesi di "ubriachezza e squallore" segnati da episodi folli che culminarono nel tentato omicidio del fotografo Carjat (lo stesso che ci ha regalato la più celebre immagine di Rimbaud), il poeta fu allontanato da Parigi per un breve periodo nel quale Verlaine cercò di salvare la propria relazione coniugale, dopo i molteplici episodi di violenza (contro Mathilde e contro il bambino) e le accuse di pederastia che ormai iniziavano a girare pericolosamente e che potevano avere rilevanza penale.

Dopo Parigi, Rimbaud e Verlaine convissero per alcuni lunghi periodi tra Londra e Bruxelles.
Nel 1873 Rimbaud scrisse Una stagione all'inferno (per cui vedi qui), proprio nel periodo in cui si consumò la rottura tra i due poeti e l'episodio del ferimento di Rimbaud da parte di Verlaine: andatosene improvvisamente da Londra, Verlaine fu raggiunto a Bruxelles da Rimbaud, il quale, dopo aver detto al suo compagno di volersene tornare definitivamente a Parigi, fu da questi colpito con una revolverata che lo ferì al polso. Verlaine venne arrestato e condannato a due anni di prigione.
In quel periodo Rimbaud tornò a Parigi, accolto freddamente dai vecchi conoscenti perché accusato di aver rovinato un grande poeta. Tornò quindi a Londra con Germain Nouveau, un letterato considerato tra i suoi primi discepoli. In questo periodo Rimbaud scrisse i poèmes en prose delle Illuminations (per cui vedi qui), che resteranno le sue ultime opere. Era il 1874 e Rimbaud avrebbe compiuto vent'anni nell'ottobre di quell'anno (Robb racconta suggestivamente del potenziale incontro che avrebbe potuto consumarsi, in Inghilterra, tra un Rimbaud che si accingeva a mettere un punto alla sua carriera di scrittore, ancora giovanissimo, e un Oscar Wilde, suo coetaneo, nato a distanza di qualche giorno da lui, che cominciava in quell'anno a studiare a Oxford e la cui carriera letteraria sarebbe invece sbocciata di lì a qualche anno). 

Rimbaud iniziò a viaggiare per l'Europa, con l'ambizione di imparare più lingue possibili: andò in Germania, a Stoccarda (dove si consumò l'ultimo banale incontro con Verlaine, liberato anzitempo per buona condotta), poi in Italia, a Milano e Livorno (dove lavorò come scaricatore di porto), e successivamente a Vienna.
L'addio alla scrittura di questo grandissimo poeta, sulla soglia dei vent'anni, coincide con l'inizio di incredibili avventure in giro per il mondo che paradossalmente avrebbero potuto fornire tutta l'ispirazione necessaria a proseguire.
Rimbaud si arruolò nell'esercito coloniale olandese e fu mandato in missione a Giava, dove ben presto disertò riuscendo tuttavia a non farsi arrestare dalla polizia militare. Tornò in Europa circumnavigando l'Africa, rischiando il naufragio e passando da Sant’Elena, dove tentò di raggiungere a nuotò il luogo dove morì Napoleone, riacciuffato da un marinaio prima che potesse annegare.
Ancora una volta girò l'Europa, poi fece due lunghe esperienze lavorative a Cipro prima di imbarcarsi per l'Egitto.
Da lì si sposterà in Abissinia facendo la spola tra Aden (nell’odierno Yemen) e Harar (nell'attuale Etiopia), dove gestirà alcuni commerci e si avventurerà nell'esplorazione di regioni in cui gli europei non si erano ancora mai spinti, come l'Ogadina (il suo rapporto su quel territorio verrà pubblicato dalla società geografica di Parigi).
Rimbaud cominciò a commerciare armi, con lauti profitti, vendendole a Menelik, Re dello Scioa, che cominciava ad accumulare un enorme potere in Abissinia e che diventerà Imperatore di Etiopia.
In un certo qual modo, Rimbaud può essere ritenuto corresponsabile della prima sconfitta di un esercito europeo contro uno africano, la disfatta italiana di Adua del 1896, contro gli uomini di Menelik, che per l'appunto era stato in parte armato da Rimbaud.
Rimbaud trascorse circa dieci anni tra la Penisola Arabica e l'Africa, tra le attuali nazioni di Yemen, Etiopia, Eritrea, Gibuti, Sudan ed Egitto.
Un tempo sufficiente a far nascere sui suoi traffici commerciali un'ombra infamante, quella della probabile tratta di schiavi nella primavera del 1888: un'ipotesi avanzata negli anni '30 del Novecento e che è stata smentita successivamente, anche se di quel periodo restano in effetti alcuni dubbi (e in ogni caso pochi commercianti potevano ritenersi, in quel momento storico e in quella regione, non immischiati, anche solo indirettamente, nel commercio di schiavi, essendo una pratica diffusissima).

Gli ultimi anni di vita di Rimbaud videro un progressivo e costante arricchimento (anche se forse non del livello sperato) fino all’insorgenza, nel 1891, di un dolore alla gamba che degenerò ben presto, rendendo inutilizzabile l’arto.
Rientrato in Francia con enorme fatica e in condizioni disperate, a Marsiglia gli venne diagnosticato un tumore al ginocchio che rese necessaria l’amputazione della gamba.
Quando le cose sembravano andare meglio, tornò nelle Ardenne dalla famiglia, quindi di nuovo a Marsiglia, dove invece il dolore tornò a manifestarsi e dove morirà dopo settimane di sofferenze, poco dopo aver compiuto il trentasettesimo compleanno.

Dopo la sua morte verranno pubblicate edizioni contenenti tutte le sue opere e inizierà la guerra delle biografie: quelle scritte dai detrattori, che mettevano in giro leggende che ancora oggi faticano ad uscire dall'immaginario collettivo (principalmente quella sulla tratta degli schiavi) e quelle agiografiche che la sorella Isabelle iniziò a scrivere col marito per tentare di riabilitarlo, spesso inventando episodi inesistenti e contraffacendo le lettere allo scopo di rendere il fratello, agli occhi della gente, meno folle e satanico di quanto dimostravano invece i suoi scritti.
Rimbaud ispirerà generazioni e generazioni a partire dalla fine dell'Ottocento e per tutto il Novecento, quando a lui si richiameranno i poeti della beat generation, i ribelli del sessantotto, alcuni profeti del rock colto.
Una forma di idolatria nei suoi confronti, da parte delle riviste letterarie decadenti, iniziò invero a registrarsi già negli ultimi anni della sua vita, quando però non si sapeva bene dove fosse e se fosse vivo.
I suoi caratteri di vagabondo visionario verranno riscontrati in scrittori e artisti del Novecento come Bruce Chatwin e Jim Morrison.

In apertura di uno dei capitoli, Robb riporta un proverbio rumeno che mai come nel caso della vita di Rimbaud trova una valida applicazione concreta: "Si nasce poeti e si muore uomini d'affari".
Questa biografia di Graham Robb ha il pregio di concentrarsi ampiamente sugli anni in cui Rimbaud si dedicò alla poesia, e sulla sua infanzia e adolescenza, che spiegano alcuni aspetti dell'atteggiamento del poeta di Charleville.
Ma Robb non tralascia l’esame dell'età adulta di Rimbaud, del periodo successivo all'abbandono della poesia, a cui dedica oltre 150 delle 400 pagine totali.
L'abbandono della poesia da parte di Rimbaud è ritenuto dall'autore un episodio più sconvolgente di quello che fu, nel Novecento, lo scioglimento dei Beatles.

Gli anni della maturità di Rimbaud ci restituiscono il resoconto di un periodo avventuroso quasi quanto i suoi anni giovanili, sebbene sotto altri profili. Sicuramente fu poco interessante dal punto di vista letterario e infatti viene snobbato da molte biografie. Tuttavia si tratta di un periodo importante per comprendere la personalità di Rimbaud e la sua evoluzione verso un futuro da affarista che sembra così poco conciliante con il suo passato di poeta tra i più grandi della letteratura francese.
Un’evoluzione da cui ognuno può trarre le proprie riflessioni e conclusioni: sulla creatività, sull'esistenza e sulla conciliazione tra talento e spregiudicatezza.
Riflessioni amare e disilluse, in prevalenza, per l’abbandono, da parte di un ragazzo, risucchiato nel mondo disincantato dell'età adulta, della propria dote più grande.
O forse si trattò semplicemente della presa d’atto della fine di un’età di ispirazione, della rinnegazione di un passato di cui vergognarsi ma i cui prodotti, di assoluto valore artistico, lasceranno una traccia indelebile nel panorama della poesia e della letteratura mondiale.
Rimbaud sembra rinnegare il suo passato, o quanto meno sembra cercare di celarlo, per inseguire non si sa bene che cosa.
Probabilmente Rimbaud aveva una personalità così forte da necessitare di continui nuovi stimoli in campi diversi e quella poesia che l'ha accompagnato per il periodo che va dai 15 ai 20 anni di età fu da lui considerato soltanto un episodio, ripudiato, della sua vita irrequieta.
Probabilmente il Genio si manifesta anche in queste forme apparentemente paradossali.

Questa biografia di Robb è davvero ben scritta, completa e ben documentata. Il lavoro di ricerca sottostante si intuisce essere stato enorme. Uno dei pregi maggiori è la capacità di inserire nella narrazione delle vicende la smisurata corrispondenza di Rimbaud, che letta da sola lascerebbe, per quanto ovvio, un senso di frammentarietà.
Un’opera imprescindibile per chi desidera avere un quadro completo e non superficiale della vita del grande poeta di Charleville, da leggere insieme alle sue opere di cui fornisce spesso brillanti e impeccabili interpretazioni.

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