23 giugno 2015

De Bello Gallico, di Caio Giulio Cesare

De Bello Gallico, di Caio Giulio Cesare

Anno di redazione: 58-50 a.C.

Edito da: Rizzoli, Garzanti, Mondadori, Newton & Compton

Voto: 8/10

Pagg.: 483 (nell'edizione Garzanti)

Traduttore: Maria Pia Vigoriti (nell'edizione Newton & Compton)

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Scritti tra il 58 e il 50 a.C., i commentari sulla guerra gallica rappresentano uno dei documenti più importanti sulle conquiste e le guerre di Giulio Cesare al di là delle Alpi.

Un momento fondamentale nella storia della Roma tardo-repubblicana, che domando l’agguerritissima Gallia (una regione che comprende l’attuale Francia, oltre a una parte degli attuali Stati del Belgio, Germania e Svizzera) creò un territorio cuscinetto per tenere a bada le temute popolazioni germaniche, mettendo così al sicuro il già consolidato dominio nel Mediterraneo.

L’opera si compone di otto libri, sette dei quali scritti direttamente da Cesare (nonostante vi sia stato in passato qualche dubbio sull’attribuzione), mentre l’ottavo fu redatto da un legato di Cesare, Aulo Irzio.
Scritto in uno stile rapido e semplice, senza orpelli narrativi, il libro è, da un punto di vista stilistico, sicuramente non memorabile: viene alternata, con una certa allegria, la prima e la terza persona (quest’ultima comunque prevalente).
L’ottavo libro, quello scritto da Aulo Irzio, è a sua volta stilisticamente diverso.

Cesare descrive gli anni della guerra gallica in modo assai preciso e accurato, anche se in certi casi si fatica a star dietro ad aspetti di dettaglio quali, ad esempio, la consistenza delle forze in campo nelle varie battaglie.
Probabilmente Cesare sminuisce qualcuna delle poche sconfitte subite, ma d’altra parte non esalta mai le moltissime vittorie oltre quello che è il giusto riconoscimento della loro portata.
I commentari di Cesare erano molto letti in Senato (soprattutto, con grande invidia, dai suoi detrattori) e pertanto il condottiero doveva sicuramente avere un occhio di riguardo nel compilarli.
Non bisogna poi dimenticare che gli anni delle guerre galliche furono molto intensi, pressoché senza tregua (come ben si evince leggendo l’opera) e che pertanto Cesare aveva sicuramente tutt’altre preoccupazioni che quella di raggiungere la gloria letteraria (il suo scopo principale era quello di informare Roma e pertanto era fondamentale una certa rapidità).

Cesare non si limita a raccontare le varie guerre che condusse, ma ci parla anche in generale dei popoli della Gallia, con interessanti informazioni antropologiche e culturali. Descrive, inoltre, tutte le attività prodromiche alle battaglie e collegate ad esse: uno degli aspetti che più colpisce leggendo l’opera è infatti sicuramente quello legato alla logistica.
Le legioni (composte ciascuna da circa 5.000 uomini) dovevano affrontare prima di tutto il problema dell’approvvigionamento di acqua e cibo (soprattutto frumento). Portavano inoltre con sé bagagli e carri (le cosiddette salmerie), con tutto il necessario per far fronte ai continui spostamenti (oltre ai bottini di guerra) e che a loro volta dovevano essere difesi durante gli attacchi dei nemici.
Quanto alla preparazione per le battaglie, innanzitutto vi era un’attenta selezione del posto in cui stabilire il campo, possibilmente in posizione avvantaggiata rispetto ai nemici (la scelta della posizione fece la fortuna di diversi condottieri romani, che si trovavano a combattere quasi sempre con un numero di soldati di molto inferiore rispetto al nemico e, pertanto, non potevano lasciare nulla d’intentato).
I campi dovevano poi essere fortificati, con opere ingegneristiche in cui i romani eccellevano e che i galli cercavano in ogni modo di copiare.
Sono queste le cose che sorprendono di più dei commentari, ossia questa abilità organizzativa che, del resto, fece la fortuna in guerra dei Romani (e di Cesare in particolare).
I pochi successi che riuscirono a strappare i galli furono dovuti o al taglio degli approvvigionamenti destinati alle legioni, o all’aver posto in essere opere di difesa o di assalto copiate dai romani.

Come detto, Cesare non glorifica mai le sue imprese oltre quello che appare un giusto riconoscimento alla sua competenza e alle sue capacità, tributando anzi spesso i maggiori meriti al valore dei suoi soldati.
Cesare, inoltre, non dimentica di riconoscere il potere della Fortuna: ciò che potrebbe apparire modestia, è invece un vero e proprio ringraziamento ad una divinità pagana, la dea del fato nelle cui mani si trovava il destino degli eserciti.

In dettaglio, gli avvenimenti narrati nel De Bello Gallico sono i seguenti:

Libro primo: dopo una breve descrizione geografica della Gallia (per cui si veda il memorabile incipit, che denota fin da subito lo stile descrittivo e oggettivo utilizzato da Cesare), si narra della guerra di Elvezia e della guerra contro Ariovisto e i Germani, i quali, attraversando il Reno, minacciavano le popolazioni galliche e gli stessi Romani con continue scorribande.

Libro secondo: narra della congiura dei Belgi e della guerra che ne seguì, fino ad una effimera riappacificazione della Gallia.

Libro terzo: si parla della guerra sulle Alpi, della guerra contro i Veneti (nell’attuale regione della Bretagna) e di altri conflitti minori.

Libro quarto: un libro molto importante, perché dopo la descrizione di altre battaglie con popoli galli minori, parla dell’assalto contro i Germani e, soprattutto, della prima spedizione in Britannia, effettuata, più che per desiderio di nuove conquiste, per la necessità di tagliare rifornimenti ai popoli gallici, i quali ricevevano aiuti (sia in termini di uomini che di approvvigionamenti) dalle popolazioni che vivevano al di là della Manica.

Libro quinto: narra della seconda spedizione in Britannia, della guerra contro Ambiorige e della ribellione dei Treviri.

Libro sesto: è forse quello culturalmente più interessante, in quanto contiene ampie descrizioni dei costumi, della cultura e delle tradizioni Galliche e Germaniche.

Libro settimo: il libro fondamentale, che racconta la vera e propria resa dei conti tra Galli e Romani; Vercingetorige, autoproclamatosi leader degli Arverni, si pone a capo di una coalizione di popoli che sperano, unendosi, di sconfiggere una volta per tutte i Romani, attribuendo le sconfitte precedenti alle loro divisioni. Vengono presentati dunque l’assedio ad Avarico, l’effimera vittoria a Gergovia di Vercingetorige (che riuscì a portare dalla sua parte anche gli Edui, storici alleati dei Romani, tenuti in altissima considerazione), e poi la decisiva e campale battaglia di Alesia, in cui Cesare, con un numero di truppe notevolmente inferiore a quello dei nemici, strappò una durissima vittoria cingendo d’assedio la città con un doppio vallo, con il quale, da una parte, assediava Vercingetorige, e dall’altra si difendeva dagli altri popoli accorsi in sua difesa.
L’assedio, durato oltre un mese, mise a dura prova i galli, che arrivarono addirittura a sacrificare le persone non adatte a combattere, facendole uscire dalla città e mandandole verso l’accampamento romano. Pensavano così di diminuire le bocche da sfamare, ma i Romani si rifiutarono di accoglierli, ricacciandoli indietro.

Libro ottavo: (come detto, scritto dal legato Aulo Irzio) narra infine degli eventi successivi alla Battaglia di Alesia. Dopo (e nonostante) la durissima sconfitta di Vercingetorige, alcuni popoli provarono nuovamente a ribellarsi, usando questa volta la strategia di far scoppiare più rivolte in posti diversi, al fine di dividere l’esercito romano. Anche stavolta, tuttavia, arrivò la vittoria di Cesare, il quale, stanco della tenacia dei Galli (e preoccupato dal fatto che di lì a poco avrebbe dovuto cedere il governatorato della regione), per sedare definitivamente gli animi ribelli delle popolazioni barbare compì alcuni atti crudeli e inumani contro i prigionieri. Se la morte o la schiavitù non era sufficiente a fermare i Galli, allora lo sarebbe stata la prospettiva di una vita estremamente difficoltosa: Cesare fece tagliare le mani ai prigionieri maschi, lasciandoli però in vita affinché la punizione fosse duratura ed esemplare.

Un’opera imprescindibile per gli amanti di storia antica, ancorché non brilli per meriti prettamente letterari. Leggere i commentari di Cesare, tuttavia, è indispensabile per chi voglia approfondire il tema della guerra gallica e le vicende della Roma tardo-repubblicana, oltre che per farsi un’idea delle gesta e delle abilità di uno dei più grandi condottieri della storia.

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