Anno di prima pubblicazione: 1895
Edito da: San Paolo Edizioni, Francesco
Libri
Voto: 7,5/10
Pagg.: 448 (nell'edizione San Paolo)
Traduttore: Paolo Valera (nell'edizione
Francesco Libri)
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Roma, ultimi anni dell'impero di
Nerone. Il patrizio romano Marco Vinicio, nipote dell'arbiter
elegantiae Caio Petronio, si innamora della bellissima Licia,
figlia del Re dei Lici, popolo barbaro proveniente dal Nord Europa.
Oltre a non essere romana, Licia è di
fede cristiana e l'amore verso Vinicio sembra impossibilitato proprio
dalle molte diversità esistenti tra i due.
Eppure, la ferma volontà di quest'ultimo lo porterà a fare di tutto pur di ottenere la sua mano, fino alla decisione di convertirsi alla nuova religione, che proprio in quegli anni stava vivendo tempi bui a causa delle persecuzioni di Nerone, il quale, dopo aver dato ordine di appiccare il fuoco alla città eterna, aveva lasciato cadere la colpa proprio sui cristiani.
Eppure, la ferma volontà di quest'ultimo lo porterà a fare di tutto pur di ottenere la sua mano, fino alla decisione di convertirsi alla nuova religione, che proprio in quegli anni stava vivendo tempi bui a causa delle persecuzioni di Nerone, il quale, dopo aver dato ordine di appiccare il fuoco alla città eterna, aveva lasciato cadere la colpa proprio sui cristiani.
Il Quo vadis di Sienkiewicz,
oggi purtroppo alquanto dimenticato e di difficile reperimento, fu un
best-seller internazionale sul finire dell'Ottocento e nei primi del
Novecento, tanto da valere al suo Autore il premio Nobel per la
letteratura del 1905, il quinto dalla nascita del riconoscimento,
conferitogli “per i suoi notevoli meriti come scrittore epico”.
Il successo che all'epoca riscosse
questo libro è testimoniato anche dalle numerose trasposizioni
cinematografiche (almeno tre nell'età del muto), tra cui l'omonimo
film di Enrico Guazzoni del 1912, assai famoso per essere stato il
primo kolossal italiano, iniziatore della celebrata tradizione dei
film muti di carattere storico del nostro Paese.
Il romanzo è ambientato nella Roma
dell'imperatore Nerone, quella degli ultimi anni del suo governo,
indicativamente dal 63 d.C. al 68 d.C.
La presenza di due personaggi
principali (Marco Vinicio e suo zio Caio Petronio – liberamente
tratto da Petronio Arbitro) che facevano parte della corte
dell'imperatore (i cosiddetti augustiani) fa sì che l'Autore possa
addentrarsi nella descrizione delle vicende imperiali, spesso in
chiave satirica, incluso il famigerato episodio dell'incendio di
Roma.
La storia d'amore tra Vinicio e Licia,
pur ben rappresentata, sembra dunque quasi un pretesto per descrivere
la Roma dei tempi di Nerone e soprattutto per narrare la vita e la
condizione dei primi cristiani che vivevano nell'Urbe: sottoposti a
torture e massacrati nelle arene dopo che era stata loro addossata la
colpa dell'incendio della città eterna, l'Autore ci fa vivere con
trasporto la loro triste ed inesorabile condizione di perseguitati
che ciò nonostante non perdevano la fede, morendo dignitosamente,
senza mai ribellarsi, e con ciò facendo ancor di più infuriare
Nerone e i suoi accoliti.
Tra i vari personaggi secondari (o per
meglio dire non principali), troviamo, oltre a Nerone e Poppea,
proprio due figure di spicco di quella che diventerà la Chiesa
Cattolica: gli apostoli Pietro e Paolo di Tarso, morti da martiri
proprio negli ultimi anni dell'impero di Nerone, in quello che fu un
vero e proprio repulisti generale di cristiani.
Proprio San Pietro è protagonista
dell'episodio tradizionale (non raccontato nei Vangeli, bensì nel
libro apocrifo degli Atti di Pietro) che dà il titolo al romanzo. Si
narra che mentre Pietro tentava di fuggire dalle persecuzioni,
incontrò Gesù sulla Via Appia e dopo avergli domandato:
Quo vadis, Domine? (Signore, dove
vai?)
Gesù gli rispose:
Eo Romam, iterum crucifigi (Vado a
Roma, per essere crocifisso nuovamente).
Dopo questa risposta, Pietro tornò sui
suoi passi e si recò nuovamente a Roma, accettando il martirio.
Le persecuzioni ai cristiani occupano
una parte considerevole del romanzo. Curiosa è la ricostruzione
della visione che i pagani avevano di coloro che professavano questa
nuova religione venuta dal Medio Oriente:
“Si dice che i cristiani adorino
la testa di un asino, siano nemici del genere umano e permettano i
delitti più orrendi”.
I cristiani vengono accusati di
avvelenare pozzi e fontane, di uccidere i bambini e di abbandonarsi
“alla più sfrenata depravazione”. L'autore confuta tali
affermazioni descrivendo invece un popolo pio e fedele, totalmente
volto all'amore verso il prossimo, anche per quelle stesse persone
che li perseguitano e li vogliono mandare a morire.
Questo è uno degli aspetti che meno
riescono a spiegarsi i romani: “un uomo ricco si può permettere
ogni cosa, anche di essere virtuoso. (…) non capisco come vi siano
tanti poveri tra i seguaci di Cristo”.
La descrizione che l'autore fa di
Pietro è quella di un uomo che è già santo tra gli uomini, un
essere straordinario nella sua bontà e nella sua capacità di
guidare il suo popolo verso il bene:
“Il vecchio che gli stava dinanzi
era a un tempo semplice e straordinario. L'individualità grandiosa
dell'uomo usciva appunto dalla semplicità ammirabile. Egli non aveva
mitra sulla testa, né ghirlande di foglie di querce alle tempie, né
palma in mano, né tabella dorata sul petto, né indossava la bianca
veste ricamata di stelle, nulla insomma delle insegne portate dai
sacerdoti dell'Oriente, dell'Egitto, dai Greci e dai Flamini romani”.
Pietro dimostra di avere qualche
piccolo tentennamento, soprattutto nel periodo in cui così dolorosi
e strazianti si mostrano ai suoi occhi la persecuzione e il massacro
del suo popolo:
“Non in Gerusalemme, ma nella
città di Satana edificherai la tua capitale. Qui, da queste lacrime
e da questo sangue, Tu vuoi che sorga la Tua Chiesa. Qui, dove oggi
impera Nerone, deve stare il Tuo regno in eterno”.
Eppure, il martirio dei cristiani
servirà per emendare quella città che “dominava il mondo, ma
ne era anche l’ulcera”.
Colui che si era macchiato di quegli orrendi crimini di lì a pochi anni vedrà tramontare il suo potere e sarà costretto al suicidio dopo una ribellione interna:
Colui che si era macchiato di quegli orrendi crimini di lì a pochi anni vedrà tramontare il suo potere e sarà costretto al suicidio dopo una ribellione interna:
“E così Nerone è passato come un
turbine, come una tempesta, come un incendio, come passa la guerra o
la morte. Ma la basilica di Pietro, dall'alto del Vaticano, domina
ancora la città e il mondo. Vicino all'antica porta Capena, ancora
oggi si vede una piccola cappella, coll'iscrizione alquanto logorata:
Quo vadis, Domine?”.
Il libro di Sienkiewicz è estremamente
faticoso nella prima parte (il che mal si concilia con la originaria
natura di romanzo a puntate), forse perché scritta a larghi tratti
secondo canoni stilistici improntati ad un barocchismo linguistico.
Superato il primo terzo, tuttavia,
l'opera inizia a prendere il decollo, raggiungendo il culmine del
coinvolgimento del lettore nella parte in cui sono descritti le
persecuzioni e il massacro dei cristiani. È questa la parte che più
si avvicina all'idea moderna di romanzo storico, molto attento
all'azione e ai dialoghi serrati e avvincenti.
Nel complesso, si tratta di un romanzo
che vale ancora la pena riscoprire, soprattutto per gli appassionati
di storia dell'antica Roma e per coloro che intendono approfondire il
clima dei primi anni del Cristianesimo, con tutte le riserve
filologiche del caso, per quanto ovvio.
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