Asce di guerra, di Wu Ming e Vitaliano Ravagli
Anno di prima pubblicazione: 2000
Edito da: Marco Tropea, Einaudi
Voto: 7,5/10
Pagg.: 462 (nell'edizione Einaudi)
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Asce di guerra è
il primo romanzo pubblicato dal collettivo Wu Ming, costola bolognese del Luther Blissett Project, pseudonimo con
cui gli stessi autori avevano pubblicato nel 1999 il romanzo “Q”.
Più che un romanzo, Asce
di guerra è un “oggetto narrativo”, come lo definiscono gli stessi autori. Un incontro tra Storia e storie, con queste ultime che rappresentano le "asce di guerra da disseppellire" che ispirano il titolo dell'opera.
Scritto insieme a Vitaliano Ravagli, antifascista romagnolo
le cui azioni sono al centro di buona parte della narrazione, il
libro è diviso in tre parti:
- una di esse, ambientata attorno agli anni 2000, racconta
le ricerche di un avvocato bolognese (che si occupa di diritti civili, in
particolare di questioni di immigrazione) per risalire ad un militante
antifascista romagnolo (il coautore Vitaliano Ravagli, detto Gap) emigrato in
Indocina nel secondo dopoguerra per combattere a fianco dei comunisti; prima di
arrivare a lui, l’avvocato viene a contatto con diversi partigiani che
rievocano le loro memorie, sia con riferimento al periodo della Resistenza, sia
relativamente al dopoguerra, con molti di essi costretti a constatare come gli
sforzi fatti durante la Resistenza fossero stati per certi versi vanificati (ed
infatti vi furono: l’amnistia, l’attentato a Togliatti, gli ex fascisti
reintegrati nella vita pubblica e politica, nonché nelle forze armate e nella
magistratura, la persecuzione di alcuni partigiani costretti a fuggire
all’estero, le torture, ecc.);
- la parte denominata Sentieri
dell’odio si concentra sulla vita di Ravagli e sulle sue azioni: dalla
seconda guerra mondiale vissuta sulla propria pelle, sebbene ancora giovanissimo e quindi
inadatto ad imbracciare le armi, alle esperienze del dopoguerra, in particolare
le due volte in cui si recò in Asia per combattere tra le truppe di Ho Chi
Minh, negli anni immediatamente successivi alla Guerra d'Indocina e precedenti
a quella che sarebbe diventata la Guerra del Vietnam;
- nei capitoli intitolati Tre fratelli, lo zio Ho e lo zio Sam - Storia disinvolta delle guerre
d'Indocina, si narra invece – con taglio storico-saggistico – delle vicende
accadute nella regione indocinese a partire dalla fine della Seconda Guerra
Mondiale e fino al 1975, anno della sconfitta americana nella Guerra del
Vietnam, con la caduta di Saigon immortalata dalla partenza dell’ultimo
elicottero dei marines; si parla quindi della Guerra d’Indocina (1946-1954), combattuta tra
i francesi che colonizzavano la zona e il movimento per l’indipendenza del
Vietnam (il Viet Minh) e che portò alla sconfitta francese e alla nascita di
quattro nuovi Stati (Vietnam del Sud, Vietnam del Nord, Laos e Cambogia); segue
la narrazione delle vicende successive al ritiro dei francesi, con le
schermaglie belliche che dimostravano come la guerra fosse tutt’altro che finita; si
giunge infine alla Guerra del Vietnam (1960-1975): il Vietnam del Sud,
appoggiato dagli USA, non riusciva a contenere l’avanzata comunista, cosa che
portò all’esplosione di un nuovo conflitto, con un’escalation che si
intensificò dopo il controverso incidente del Tonchino (1964).
Il libro mescola resoconti storici puntuali (quando parla in
generale di eventi storici quali quelli occorsi nell’ex Indocina) ad altri
frutto d’invenzione, soprattutto nella parte relativa alle ricerche dell’avvocato
bolognese, un alter ego degli autori intenti a scandagliare le molte storie di
partigiani del periodo della Resistenza e dell’immediato dopoguerra.
Anche tali storie sono in parte vere (le vicende
autobiografiche narrate da Ravagli) e in parte liberamente ispirate a fatti
realmente accaduti (i resoconti di alcune vicende partigiane e delle
schermaglie del dopoguerra).
Vicende raccontate con un approccio inevitabilmente di parte,
che contribuisce a far comprendere le ragioni dei partigiani sia durante la
guerra (ove è decisamente più facile), sia successivamente ad essa, in una fase della
storia d’Italia sicuramente meno conosciuta e più oscura, allorquando il
conflitto tra le due concezioni socio-economiche, quella comunista e quella
capitalista, portò ad un’escalation di tensione e alla spartizione di fatto del
territorio europeo.
In Italia - finita sotto l’orbita occidentale -
il tentativo di trovare un compromesso tra le fazioni che si erano scontrate
(che portò all’amnistia e all’approccio
togliattiano della cosiddetta democrazia progressiva), finì per emarginare coloro che
nella vittoriosa esperienza partigiana avevano scorto il trampolino di lancio
verso la definitiva svolta sociale.
Ecco quindi le epurazioni, le persecuzioni dei partigiani
resisi protagonisti di atti vendicativi post-bellici, la necessità per alcuni
antifascisti di emigrare nell’est Europa o in Unione Sovietica. Fino ad arrivare a coloro che decisero addirittura di imbracciare le armi nei pochi teatri di guerra ancora aperti, come nel
caso di Ravagli.
Chi legge un libro di Wu Ming sa benissimo a cosa va
incontro (o per lo meno dovrebbe saperlo). L’analisi delle vicende, come detto,
è sicuramente di parte ed alcune ricostruzioni, non essendo storicamente
veritiere (bensì soltanto ispirate o basate su fatti realmente accaduti)
potrebbero far sorgere il dubbio che si cerchi di rigirare il proverbiale dito
nella piaga, con il fine di acuire la rabbia sociale del lettore.
Forse è proprio il taglio semi-autobiografico a costituire
un problema, perché unendo fatti realmente accaduti (nella versione,
ovviamente, di chi li racconta) ad altri oggetto di riformulazione, si potrebbe
snaturare il complesso, rendendo labile (ed attaccabile) il confine tra realtà
e finzione.
In ogni caso si tratta di un libro sicuramente molto ben
scritto, con dialoghi serrati ed efficaci, con un uso ironico del dialetto e
del turpiloquio (incluse le bestemmie, immancabili per quella fascia di
territorio che va dalla Toscana al Veneto, passando per l’Emilia Romagna).
Al di là delle suddette perplessità sull’intreccio tra
realtà e finzione, si tratta comunque di un libro per certi versi necessario,
quanto meno per non far cadere l’oblio, all’alba del nuovo millennio, su una fase
della storia d’Italia troppo spesso dimenticata.
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