Anno di prima pubblicazione: 2000
Edito da: Carocci
Voto: 9,5/10
Pagg.: 741
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Gli anni Trenta si aprono con la
terribile crisi economica mondiale generatasi a seguito del crollo
delle borse dell'ottobre 1929, che pose fine ai Roaring twenties
nel peggiore dei modi. Una crisi colpevolmente sottovalutata dal
presidente statunitense Herbert Hoover, che pensava, almeno
inizialmente, di poterla combattere con surreali appelli
all'ottimismo.
Ma la situazione era disperata, come dimostravano i milioni di disoccupati e di poveri che affollavano le mense di carità, il crollo dei prezzi e il conseguente esubero di prodotti agricoli (il frumento era meglio bruciarlo al posto della legna piuttosto che venderlo a prezzi da miseria). Una crisi che si autoalimentava e che non riceveva risposte efficaci da parte del governo, fomentando lo spettro di una rivoluzione comunista le cui prime avvisaglie furono tuttavia prontamente sedate. La Grande Depressione aveva anche un simbolo architettonico, quell'Empire State Building inaugurato in pompa magna nei primi anni Trenta, ma per i cui uffici si faticava a trovare degli affittuari.
Ma la situazione era disperata, come dimostravano i milioni di disoccupati e di poveri che affollavano le mense di carità, il crollo dei prezzi e il conseguente esubero di prodotti agricoli (il frumento era meglio bruciarlo al posto della legna piuttosto che venderlo a prezzi da miseria). Una crisi che si autoalimentava e che non riceveva risposte efficaci da parte del governo, fomentando lo spettro di una rivoluzione comunista le cui prime avvisaglie furono tuttavia prontamente sedate. La Grande Depressione aveva anche un simbolo architettonico, quell'Empire State Building inaugurato in pompa magna nei primi anni Trenta, ma per i cui uffici si faticava a trovare degli affittuari.
Fu gioco facile per Franklin Delano
Roosevelt ottenere l'elezione alla presidenza nel novembre del ‘32
(proprio contro Hoover).
Nel primo capitolo del libro l'autore
presenta i due presidenti USA senza fare sconti e in modo decisamente
critico. Lo stesso popolarissimo Roosevelt viene mostrato come un
politico ambizioso che cercava di piacere a tutti i costi agli
interlocutori più diversi. Non che ciò fosse necessario, visto che
perdere le elezioni contro Hoover sarebbe stato praticamente
impossibile, come sancito dalla famosa battuta del vice di Roosevelt,
secondo cui a quest'ultimo sarebbe bastato arrivare vivo al giorno
delle elezioni.
La nazione che, dopo gli Stati Uniti,
subì maggiormente le conseguenze della Grande Depressione fu la
Germania uscita sconfitta dalla prima guerra mondiale. Anche per tale
motivo, ossia a causa delle sanzioni di guerra imposte dai vincitori,
i tedeschi già versavano in una condizione di profonda crisi
economica che non poté che aggravarsi ulteriormente.
In tale contesto, per un efficace
oratore populista come Adolf Hitler - un austriaco che aveva
combattuto nella Grande Guerra - fu semplice cavalcare l'ondata di
malcontento fino ad arrivare al potere.
Forse non avrebbe potuto farcela, però,
senza l'abile regia di Goebbels, vero e proprio stratega dell'ascesa
al potere del nazionalsocialismo (un movimento che all'origine
contava meno di un migliaio di seguaci e che nella prima tornata
elettorale cui partecipò prese poco più del 2,5% dei voti). A tal
fine, Goebbels si servì con efficacia dello strumento della
propaganda, l'arte di circuire l’opinione pubblica, ricorrendo
senza alcuno scrupolo alla menzogna e all'esaltazione teatrale,
iperbolica ed enfatica di fatti più o meno reali. Fondamentale fu
anche l'instaurazione di un vero e proprio clima di terrore, con
violenze e soprusi che ricordavano quelli delle camicie nere in
Italia, cui si univa la caccia all'ebreo, eletto a capro espiatorio
delle miserie dei tedeschi.
Le adunate di Hitler venivano definite
con grande efficacia da Goebbels come le "funzioni religiose"
del movimento, le occasioni in cui maggiormente si esprimeva lo
strumento della propaganda.
Goebbels era un uomo di bassa statura e
con un piede zoppo a causa probabilmente di una disabilità
infantile: fisicamente molto lontano, dunque, dal prototipo della
razza ariana, cosa che gli causò una frustrazione sfogata in una
proverbiale malvagità. La sua sincera idolatria nei confronti di
Hitler gli valse un posto di primo piano nella prima linea del futuro
führer, nonostante le rimostranze che qualcuno muoveva riguardo le
sue imperfezioni fisiche.
Invertendo il noto detto di von
Clausewitz, l'autore spiega come Hitler e Goebbels fecero sì che la
politica diventasse la "continuazione della guerra con altri
mezzi", soprattutto nella decisiva stagione elettorale del
'32, che vide dapprima la doppia sconfitta di Hitler contro
Hindenburg per le elezioni alla presidenza, vendicate però dalle
successive affermazioni, tra cui quelle nelle elezioni per il
Reichstag, che valsero al futuro führer - che pur raccolse solo la
maggioranza relativa dei consensi - il cancellierato nel gennaio ‘33
(dopo gli ultimi tentativi di Hindenburg di affidare il governo prima
a von Papen, poi a von Schleicher). Le violenze delle SA - le
famigerate “camicie brune” - furono decisive in un clima sempre
più assimilabile a quello di una guerra civile.
Nella sua ascesa al potere, Hitler si
era in parte ispirato al regime dittatoriale instaurato in Italia,
ormai da circa un decennio, da Benito Mussolini.
Il duce arrivava alla soglia degli anni
Trenta con un potere consolidato, da ultimo, dalla benedizione della
Chiesa dopo la firma dei Patti Lateranensi del '29. Pio XI,
inizialmente più affascinato che diffidente verso il regime
fascista, aveva deciso di appoggiare il duce ricevendone vantaggi e
privilegi che rafforzavano di fatto la posizione della Chiesa,
notevolmente ridimensionata dall'unità d'Italia.
Un papa che era già passato sopra atti
criminali come l'assassinio di Matteotti con un colpevole
atteggiamento passivo.
L'Italia del duce, per il resto, si
divideva tra alcuni vantaggi che il regime sembrava indubbiamente
aver portato (i treni arrivavano finalmente in orario) e
scelleratezze economiche pagate a caro prezzo dai cittadini, ma
abilmente mascherate dallo strumento della propaganda: l’autarchica
battaglia del grano comportò l'aumento dei prezzi, una gestione
inefficiente delle risorse agricole e il peggioramento delle
abitudini alimentari degli italiani (che mangiavano poca carne anche
perché il bestiame si era ridotto a causa dell'elevato prezzo del
foraggio); sul fronte della politica monetaria, la decisione di
rafforzare la lira, sull'esempio della sterlina, comportò
l'impoverimento generale, il calo delle esportazioni e la diminuzione
dei salari. Ma gli italiani erano abituati alla povertà e non
accusarono il colpo oltre il dovuto (anche se in certe zone d'Italia
per sopravvivere si mangiavano erbe selvatiche).
Mussolini ebbe gioco facile, una volta
scoppiata la crisi del ‘29, a dare la colpa a Wall Street. E quando
la propaganda non bastava, subentrava l'olio di ricino.
L'attenzione alla forma più che alla
sostanza, le continue promesse non mantenute, la censura, il culto
della persona del duce, la ricerca di azioni eclatanti (come le
imprese di Balbo nell'aviazione) fecero il resto del lavoro, gettando
fumo negli occhi di un popolo sempre più povero ma così
provinciale, rurale e culturalmente arretrato che "qualsiasi
genere di bluff fa[ceva]
colpo" su di esso.
Al di là delle Alpi, la Francia era la
nazione che aveva meglio retto il colpo allo scoppio della Grande
Depressione. Prospera e dotata del miglior esercito di terra del
mondo, viveva tuttavia un'instabilità politica notevole che portava
all'alternanza di un gran numero di governi. Sul fronte della
politica estera, il pericolo avvertito come più vicino, quello di
una nuova guerra con una Germania vendicativa e revanscista, veniva
combattuto su due fronti: alcune concessioni per mitigare le dure
condizioni di Versailles e la costruzione della linea Maginot,
monumentale e onerosa opera difensiva che si rivelerà un totale
fallimento (tra i più inutilmente costosi nell'ambito della
deterrenza bellica).
All'inizio degli anni Trenta
l'Inghilterra fu seriamente colpita dalla Grande Depressione, con un
aumento della disoccupazione che portò il Paese sull'orlo di quello
che sarebbe stato un imbarazzante fallimento (i sussidi vennero a
raggiungere importi complessivi non più sostenibili). La crisi
comportò, da un lato, l'insorgere del rischio di una rivoluzione
comunista (emblematico l'episodio dell'ammutinamento di Invergordon,
che ricordava quello della corazzata Potëmkin); dall'altro, ci fu
l'emergere di movimenti ispirati ai totalitarismi esteri, come il
partito fascista di Mosley, che si richiamava a Mussolini (da cui era
finanziato) e che ebbe il suo apice nel 1934. Ma l'Inghilterra
nutriva una profonda avversione per gli estremismi, di destra e di
sinistra, e riuscì a sedare entrambi i movimenti, che non
raggiunsero mai soglie maggioritarie. Nella seconda parte degli anni
Trenta una ripresa economica tanto insperata quanto consistente fece
della Gran Bretagna uno dei Paesi più benestanti del Vecchio
Continente, allontanando lo spettro del populismo.
Le ambizioni imperialiste del Giappone,
una potenza in grande ascesa ma ancora sottovalutata, si
concretizzarono nei conflitti con la Cina e nell'invasione della
Manciuria (1931) ove fu creato lo Stato fantoccio del Manciukuò. Un
evento che evidenziò, per la prima volta in modo serio, le crepe nel
sistema della Società delle Nazioni.
L'escalation fu completata sul finire
del decennio con la seconda guerra sino-giapponese, che inizierà nel
‘37 con la rapida occupazione, da parte dei nipponici, di Shanghai
e Nanchino (ove fu compiuto uno dei più terribili massacri di guerra
del Novecento) e proseguirà in corrispondenza del secondo conflitto
mondiale.
In Unione Sovietica la posizione di
Stalin quale erede di Lenin (personalismi che continuavano di fatto
la tradizione zarista) si era notevolmente consolidata e continuerà
a farlo negli anni Trenta grazie alla propaganda e alle epurazioni di
massa dei dissidenti o di coloro che erano pericolosi per la sua
posizione di potere (come era già avvenuto per Trockij).
L'arretratezza economica della Russia,
che continuava ad essere un problema (nonostante la Rivoluzione del
’17), fu contrastata da Stalin con la spinta
all'industrializzazione e all'urbanizzazione, con buona pace degli
ideali di eguaglianza (ai lavoratori specializzati e più attivi
erano garantite paghe più alte e vari privilegi). Stalin intraprese
una lotta interna contro i kulaki, i contadini individuati
quali (con)causa dell'arretratezza russa, che vennero piegati con una
carestia che causò milioni di morti (le terribili condizioni degli
ucraini portarono alla diffusione del cannibalismo, incluso quello
infantile).
Il piano quinquennale staliniano - che
al netto delle mistificazioni della propaganda si era comunque
dimostrato efficace per risollevare l'economia sovietica - aveva
riscosso consensi anche nella capitalista America, messa in ginocchio
dalla Grande Depressione.
Quando a gran voce (persino da parte
dei conservatori) si chiese di studiare qualcosa del genere anche per
gli USA, il neoeletto Roosevelt elaborò il New Deal, un piano capace
di rigenerare l'economia americana con una serie di iniziative
pubbliche, tra cui una delle più importanti fu sicuramente
l'istituzione della TVA, la Tennessee Valley Authority, esempio di
radicale trasformazione di una zona economicamente depressa.
L'interventismo di Roosevelt era in
ogni caso ben diverso da quello di Stalin in Unione Sovietica: "La
sua versione della pianificazione economica non fu socialismo, ma
capitalismo di Stato".
Il New Deal, nonostante alcune
incongruenze e contraddizioni negli interventi, ebbe un successo
quasi miracoloso che risollevò il Paese fin dai primi mesi della
presidenza Roosevelt, garantendo a quest'ultimo l'immortalità
politica. Non che tutti i problemi degli USA fossero stati risolti,
ma il piano ebbe il pregio di rimettere in moto la Nazione e
infondere fiducia e ottimismo in cittadini che la Grande Depressione
aveva portato sull'orlo della disperazione (per non dire della
rivoluzione).
Hitler arrivò al potere nello stesso
periodo di Roosevelt (ossia nel momento peggiore della crisi
economica, tra la fine del '32 e l’inizio del '33) ed impresse fin
da subito una svolta autoritaria utilizzando a suo favore un
avvenimento del febbraio 1933: l'incendio del Reichstag, opera di un
marxista olandese (anche se i sospetti internazionali erano caduti
sugli stessi nazisti) che permise al führer di scagliarsi contro
comunisti ed ebrei in una drammatica escalation di violenze. La
strada verso la dittatura e l'oscurantismo era stata intrapresa e al
rogo del Reichstag seguì quello, voluto da Goebbels, dei libri
invisi al regime, un fatto che portò alla memoria antiche,
drammatiche profezie puntualmente pronte a riverificarsi, come quella
di Heine: "Quando si bruciano i libri, prima o poi si mettono
al rogo anche gli esseri umani".
La corsa al riarmo fece sì che la
Germania nazista si rivelasse una delle Nazioni che meglio stava
affrontando la crisi economica, gettando fumo negli occhi sia dei
tedeschi sia di alcuni stranieri, che passarono così sopra le
violenze in nome delle migliori condizioni di vita, fino ad arrivare
addirittura a credere che il totalitarismo rappresentasse una ricetta
forse indispensabile per la prosperità economica.
Il 1934 fu un anno fondamentale per
l'esasperazione della dittatura nazista con una serie di avvenimenti
determinanti. Nella notte dei lunghi coltelli Hitler eliminò senza
scrupoli i dissidenti delle SA, tra cui il suo ex compagno di
avventure Röhm, che le dirigeva. Si accrebbe così il potere di
Göring e Himmler, capo delle SS. Nell'estate, la morte di Hindenburg
portò anche formalmente tutti i poteri nelle mani della nuova carica
del führer. Infine, i campi di concentramento - nati sul modello di
Dachau, il prototipo creato già nel marzo del ‘33 dopo l'incendio
del Reichstag - furono affidati alla gestione inumana delle SS.
Si sostiene che la notte dei lunghi
coltelli fosse stata ispirata al führer (oltre che dalle mire di
Göring e Himmler) da una frase detta da Mussolini, con cui si
incontrò a Venezia per la prima volta nel giugno del '34. Se
probabilmente non corrisponde al vero il fatto che un Hitler
indubbiamente non a suo agio rimase ammirato dall'efficienza
dell'Italia fascista (anzi, non poté che rilevare alcuni
atteggiamenti non esattamente marziali dell'esercito italiano) di
sicuro egli fu impressionato dalle doti oratorie e di coinvolgimento
delle masse di Mussolini. Goebbels e Hitler posero rimedio a questo
deficit che ancora mancava per raggiungere e superare il fascismo con
l'organizzazione del raduno di Norimberga, vero e proprio monumento
alla propaganda che nel settembre ‘34 fece scalpore in Germania e
all'estero grazie anche al film documentario che ne trasse la regista
Leni Riefenstahl, con tecnica e stile innovativi.
La risposta di Mussolini ad una
Germania che si candidava a monopolizzare le paure delle democrazie
europee fu l'avventura coloniale intrapresa contro l'ultimo pezzo di
terra africana che non era oggetto di dominazione da parte delle
potenze occidentali: quell'Abissinia/Etiopia che sul finire
dell'Ottocento aveva inflitto una pesante sconfitta proprio agli
italiani, in un caso più unico che raro di resistenza
all'assoggettamento colonialista.
Questa volta il duce non voleva
sorprese e schierò una macchina da guerra imponente, che pur faticò
non poco contro i valorosi etiopi di Hailé Selassié. L'Italia aveva
dalla sua la superiorità tecnologica (tra cui il dominio
incontrastato dei cieli) ma ciò nonostante dovette ricorrere al
criminale utilizzo di armi chimiche per avere la meglio.
Quest'ultimo fatto e la stessa
aggressione coloniale causarono i dissapori di Francia e Inghilterra
che si trovavano però nella debole e ipocrita condizione di
accusatori delle altrui pretese imperialiste dall'alto di sterminati
possedimenti coloniali. Il duce aveva in ogni caso saputo circuire
uomini chiave di entrambi i Paesi, per trasformare le censure nei
suoi confronti in accesi dibattiti interni ai paesi accusatori.
Seppur col proverbiale senno di poi,
c'è chi ritiene che un intervento forte da parte inglese contro
l'Italia per evitare l'aggressione all'Etiopia avrebbe potuto
rappresentare quella svolta che mancò negli anni Trenta per evitare
il precipitare della situazione politica (si sarebbe probabilmente
isolato Hitler, intimidito il Giappone aggressore della Manciuria ed
evitato l'escalation spagnola).
La guerra in Etiopia pose così la
pietra tombale sulla Società delle Nazioni, dopo che essa aveva già
fallito nell'affaire Manciuria: le sanzioni all'Italia furono
inefficaci e servirono anzi soltanto a creare un consenso granitico
in patria attorno al duce (i cittadini donarono persino la fede
nuziale per finanziare la campagna militare). Nel ‘36 Mussolini
raggiunse l'apice della sua popolarità quando proclamò l'Impero,
iniziando a credere davvero alla propria onnipotenza. In realtà la
campagna d'Etiopia era stata inutilmente onerosa (sebbene avesse
permesso di sfogare all'esterno le frustrazioni della crisi
economica) e combattuta contro un nemico non dello stesso livello (e
le conseguenze si sarebbero viste poi in Spagna e durante la seconda
guerra mondiale).
L'auto-sopravvalutazione che fece di sé
l'Italia fascista dopo la campagna etiope finirà per consegnarla
nelle mani di Hitler.
Le prove generali di un'alleanza che
sembrava inevitabile, quella nazi-fascista, furono effettuate in
occasione dell'evento che Brendon definisce "la gola del
canyon": la guerra civile spagnola, che rappresentò un
anticipo di ciò che di lì a poco si sarebbe scatenato in Europa.
Il conflitto combattuto in terra
iberica fu il primo vero banco di prova dei nuovi equilibri europei,
la prima occasione di uno scontro sul campo tra democrazia e
totalitarismo (che a causa del mancato intervento delle potenze
occidentali divenne però uno scontro tra comunismo e fascismo),
combattuto in un Paese povero e arretrato, dominato da forti
contrapposizioni regionali. Fu una guerra in cui si espresse una
visione manicheista degli schieramenti, il male e il bene (a seconda
di come la si pensava), in un Paese che sembrava dominato da nette
contrapposizioni, rappresentate emblematicamente dal sol / sombra
dei posti a sedere della corrida.
Ecco perché il conflitto diventò
ideologicamente rilevante, portando all’intervento, soprattutto sul
fronte repubblicano, di decine di migliaia di volontari provenienti
da tutte le Nazioni, che per la prima volta nella storia recente
combattevano per un'ideale e non per la mera appartenenza ad una
patria che erano chiamati a difendere.
Le Brigate internazionali (nelle cui
fila militò anche George Orwell), schierate coi repubblicani,
rappresentavano la reazione ai fascismi da parte dei cittadini delle
democrazie occidentali (e non solo, visto che vi erano anche migliaia
di antifascisti italiani), ponendo rimedio all'inazione diretta dei
loro governi, ancora convinti che una via d'uscita non militare alla
situazione europea fosse percorribile.
La Francia di Léon Blum, primo premier
socialista della Terza Repubblica, non intervenne infatti nel
conflitto (nonostante, in caso di vittoria di Franco, si sarebbe
trovata accerchiata dai totalitarismi), confermando la linea
successiva alla militarizzazione della Renania da parte di Hitler,
che aveva portato l'Europa vent'anni indietro.
Diverso invece l'approccio di Mussolini
e Hitler, che diedero appoggio diretto al generale Francisco Franco,
contrastando l'aiuto ai repubblicani dei sovietici, gli unici che si
erano schierati apertamente contro il Caudillo, con il paradosso di
alimentare ancor di più il lassismo occidentale, che sfociava
addirittura in un malcelato favor per il franchismo da parte
di Inghilterra e Stati Uniti (impauriti dal pericolo di una Spagna
"rossa").
Ma la situazione di una Repubblica
giovane come quella spagnola era assolutamente peculiare e come
osservò correttamente Salvador de Madariaga a causa di "certi
parallelismi piuttosto superficiali" si era finiti per
portare sul suolo iberico "la guerra civile latente che
l'Europa (...) [era] riuscita a scongiurare", almeno fino a
quel momento.
Da una parte, si schieravano monarchici
(con le simpatie del clero), nazionalisti e pseudo-fascisti, esercito
e falangisti, all'ordine del generale Franco, rientrato dalle Canarie
dove era stato inviato dal governo repubblicano per allontanarne la
minaccia (tanto da venir ironicamente chiamato Miss Islas Canarias
1936 dagli altri componenti dello Stato maggiore).
Nella fazione repubblicana, in una
coalizione altrettanto eterogenea, vi erano invece il Fronte popolare
(il più interessato a far sì che il conflitto fosse avvertito
all'estero come una crociata contro il fascismo), gli anarchici e i
socialisti, i comunisti e la marina, uniti al grido di No
pasaran!.
Le Brigate internazionali schierate al
loro fianco erano poco addestrate e mal equipaggiate, ma diedero
comunque del filo da torcere a Franco con una serie di estenuanti
combattimenti casa per casa cui assistette anche Hemingway, che aveva
smesso la veste di appassionato di corride per indossare quella di
corrispondente.
Ma la guerra civile spagnola costituì
anche un esperimento per valutare i rapporti di forza all'interno del
blocco nazi-fascista: i soldati inviati da Mussolini, reduci dalle
vittorie africane, riportarono cocenti sconfitte che determinarono il
definitivo ribilanciamento degli equilibri a favore di Hitler, il
quale auspicava che il conflitto durasse il più a lungo possibile
proprio per tenere occupato il duce lontano dal cuore dell'Europa,
dove il führer andava spiegando le sue manovre espansionistiche.
I nazisti furono peraltro responsabili
di una delle più cruente azioni militari del conflitto, il
bombardamento a tappeto e indiscriminato (il primo nella storia
europea) di Guernica. Una strage, decisa per piegare la resistenza
basca, che causò vittime soprattutto civili, il cui sconcerto e
dolore vennero immortalati su tela da Picasso, in quello che resta
uno dei suoi capolavori.
Guernica dimostrò per la prima volta
in Europa le brutali potenzialità della guerra dei cieli e scosse
profondamente le opinioni pubbliche, con i governi delle potenze
democratiche che misero ancora una volta la testa sotto la sabbia
(spesso con colpevole consapevolezza) credendo a inverosimili
ricostruzioni che ipotizzavano un'autodistruzione della città per
mano repubblicana.
La guerra terminò nel ’39 - alla
vigilia di guai anche peggiori - con la vittoria di Franco e di
Hitler (un po’ meno di Mussolini) e la sconfitta dei repubblicani,
dell'Unione Sovietica e, soprattutto, delle democrazie occidentali,
che avevano perso l'occasione di sconfiggere il fascismo perché
troppo impaurite dalla prospettiva di schierarsi con Stalin, finendo
così invece per appoggiare il fronte nazi-fascista, indirettamente e
direttamente, come fece Chamberlain accordandosi con Mussolini.
La notte dei lunghi coltelli aveva dato
a Stalin l'ispirazione per una delle più grandi e violente
persecuzioni politiche che la storia ricordi: la grande purga,
iniziata proprio nel ‘34, causò vari milioni di morti e
altrettanti prigionieri reclusi nei gulag. Attraverso la sua polizia
segreta Stalin creò un clima di terrore in cui nessuno poteva
sentirsi al sicuro, giungendo così alla totale eliminazione di ogni
forma di dissenso. In verità molte delle vittime erano innocenti,
perseguite perché ritenute scomode (come gli esponenti di spicco del
partito, quelli che avevano fatto la rivoluzione al fianco di Lenin)
o per semplici congetture indimostrate (anche se ai processi
fioccavano confessioni surreali, estorte con violenza da membri
zelanti della polizia segreta, i quali, in un drammatico circolo
vizioso, credevano di finire a loro volta nel mirino qualora non
avessero trovato abbastanza "nemici del popolo").
Alcuni dei gulag di Stalin fecero più
vittime di Auschwitz e ciononostante l'affetto del popolo verso il
loro capo supremo non fu minimamente intaccato: anzi, la propaganda
di Stato, che mai come in questa situazione seppe spiegare i suoi
effetti sulla psiche delle persone, portò a risultati paradossali,
quale quello di far credere a molte delle vittime che ciò che stava
accadendo loro fosse impossibile, fidandosi più di quanto veniva
scritto sui giornali che di quello che potevano vedere con i loro
stessi occhi. Alcuni giunsero addirittura ad autoconvincersi che
qualcosa dovevano pur aver fatto per essere finiti in quella
situazione.
Il capitolo sulle epurazioni sovietiche
è senza dubbio uno dei più sconvolgenti dell'intero saggio, grazie
anche al magistrale stile pseudo-narrativo dell'autore.
Rieletto Roosevelt nel ‘36,
soprattutto grazie al New Deal, gli USA continuarono a mostrare
scarso coinvolgimento per quanto accadeva in Europa e nell'Asia
orientale, vista la forza del movimento isolazionista.
Non vi era certezza sulle informazioni
che giungevano dal di là dei due oceani e lo schierarsi nettamente
comportava il rischio per Roosevelt di essere additato quale
neo-bolscevico filo-sovietico piuttosto che pretendente al ruolo di
dittatore del Nuovo continente.
Le olimpiadi di Berlino del '36 furono
utilizzate dal führer come massimo momento di propaganda del regime,
in questa occasione volto a mostrare al resto del mondo una Germania
più aperta, internazionalista e meno sciovinista di quanto venisse
dipinta.
I giochi contribuirono a creare quel
clima di surreale approvazione di cui Hitler godeva presso alcuni
insospettabili uomini di Stato occidentali, soprattutto inglesi, che
etichettavano le notizie negative sul nazismo come false o gonfiate,
lasciandosi ammaliare dalla natura di uomo d'ordine del führer.
In questo contesto di lassismo da parte
di Francia e Inghilterra, Hitler poté così portare a compimento
l'Anschluss, ricevendo consensi (dopo un'iniziale forte
avversione) dal popolo austriaco che dimostravano come fosse facile
per il nazismo suscitare fascino nelle folle.
Dopo l'Austria (ove si consumò anche
la più bieca caccia all'ebreo, almeno fino a quel momento) fu la
volta della Cecoslovacchia, con un'arroganza e un senso di impunità
da parte nazista che raggiunse l'apice: Francia e Inghilterra erano
state concessive e concilianti fino all'umiliazione, celata dietro il
desiderio di pace e l'apparente limitatezza delle rivendicazioni
naziste.
Nel clima di tensione sollevato dal
führer in Europa, l'Italia fascista aveva costantemente tentennato
tra l'appoggio a Hitler e la diffidenza verso i tedeschi, soprattutto
dopo l'Anschluss.
Le sontuose visite dei due dittatori
nei rispettivi Paesi si erano susseguite, spingendo verso un'alleanza
che sembrava inevitabile. A Monaco, nella conferenza che aveva
spianato la strada ad Hitler per l'invasione della Cecoslovacchia,
Mussolini era passato per il salvatore della pace in Europa, quando
in realtà si era comportato come un luogotenente del führer, pronto
a perorare la sua causa nei confronti di Daladier e Chamberlain.
Quando Hitler occupò militarmente
Praga, andando ben oltre le intese di Monaco, un duce risentito
rispose con l’invasione dell'Albania, già protettorato italiano:
ma mentre i nazisti avevano conquistato una nazione dall'importante
produttività industriale e ricca di risorse, l'Italia aveva
attaccato a mero scopo simbolico una nazione estremamente povera e
strategicamente inutile.
Il Patto d'acciaio del maggio ‘39
sancì la formalizzazione dell'alleanza nazi-fascista, con l'impegno
dell'Italia a intervenire a fianco della Germania in caso di guerra.
Ma un duce sempre più titubante (ad esempio per l'accordo tra
Germania e Unione Sovietica che aveva gettato alle ortiche anni di
anti-comunismo) si preparava a non rispettare l'intesa, facendo
venire a galla il colossale bluff fascista: dopo quasi un ventennio
di ostentato militarismo e proclami bellici, l'Italia si scopriva
completamente impreparata per una guerra impegnativa (come era del
resto emerso in Etiopia e soprattutto in Spagna), possedendo
armamenti arretrati e mancando in misura sufficiente delle risorse
fondamentali per far funzionare la macchina bellica (dal carburante
per le navi alle armi e munizioni).
Daladier e Chamberlain passeranno alla
storia come gli oltranzisti della pace (dis)onorevole, coloro che per
evitare di scendere in guerra subito furono costretti a farlo
successivamente (dopo aver sacrificato Austria e Cecoslovacchia)
quando Hitler si era congruamente armato e difeso dal pericolo
sovietico.
In Inghilterra emergerà la figura di
Churchill, inizialmente tenuto fuori dal governo da Chamberlain
perché negli anni precedenti al conflitto (dopo un'iniziale
ammirazione per Mussolini) si era mostrato il politico più
intransigente verso la scriteriata logica delle concessioni a
oltranza a favore delle dittature continentali.
L'evento politicamente più importante
del ‘39 e in generale dell'ultima parte degli anni Trenta fu
indubbiamente la firma del patto di non aggressione tra Germania e
Unione Sovietica.
Mussolini e il Giappone rimasero basiti
dall'audacia della realpolitik nazista. Sul fronte opposto, i
comunisti di tutto il mondo furono profondamente delusi dal cinismo
mostrato da Stalin.
Chamberlain e Daladier videro sconfitta
la loro politica conciliante e concessiva, trovandosi improvvisamente
all’angolo per effetto di un patto che rendeva pressoché
inevitabile un conflitto che ancora nell’estate del ’39 speravano
di scaricare tra quelle due nazioni che invece ora si impegnavano
alla non aggressione reciproca.
Sia Hitler che Stalin erano intimamente
convinti di aver messo nel sacco il rivale, almeno temporaneamente.
Il führer si troverà la strada spianata per l'invasione della
Polonia, l'evento che, in quel fatidico 1° settembre del ‘39,
causerà l'inizio di un conflitto ormai ineluttabile.
I primi quattro mesi della seconda
guerra mondiale chiudono un decennio fondamentale della storia
contemporanea, raccontato da Brendon in modo magistrale e con
un'accuratezza di approfondimenti e ricerca storica davvero notevole.
L'autore illustra alcuni episodi
storici con una dovizia di particolari che ricorda le descrizioni dei
romanzi, facendo emergere l'ampiezza del proprio apparato di fonti,
che parte dai quotidiani e dai reportage, per passare a memorie
personali dei protagonisti e solo saltuariamente ad analisi storiche
successive.
Brendon è stato responsabile dei
Churchill Archives, personaggio a cui dedica in realtà non
molte pagine.
La sua è un'opera monumentale, che si
legge come un romanzo ed affascina per la sua coralità.
I vari capitoli si focalizzano sulle
principali nazioni protagoniste di quegli anni (Germania, Italia,
Stati Uniti, Francia, Inghilterra, Giappone e, marginalmente, Cina),
con una coesione che tuttavia non lascia avvertire eccessivi stacchi
tra l’uno e l’altro.
Come confessa lo stesso autore, alcune
materie ed ambiti non sono stati trattati adeguatamente: quello
scientifico, culturale ed artistico (anche se ci sono alcune
interessanti pagine sull’età dell’oro hollywoodiana), nonché
quello attinente la condizione della donna.
Ed infatti il libro di Brendon è
fortemente incentrato su due materie, la politica e l'economia,
quest’ultima assoluta co-protagonista, considerato il ruolo di
primo piano che ebbe negli anni Trenta la Grande Depressione,
risultata uno dei catalizzatori dei totalitarismi (e dell’indulgenza
delle democrazie nel contrastarli).
In ciò il saggio lancia un chiaro
monito: il pericolo che si cela quando la crisi economica trova
conforto nel populismo.
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