17 settembre 2016

La svastica sul sole, di Philip K. Dick

La svastica sul sole (The Man in the High Castle), di Philip K. Dick

Anno di prima pubblicazione: 1962

Edito da: Fanucci

Voto: 7,5/10

Pagg.: 317

Traduttore: Maurizio Nati

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Tra i più noti esempi di romanzo ucronico - genere ibrido tra fantascienza, fantapolitica, storia e distopia - La svastica sul sole (noto anche come L’uomo nell’alto castello, dal titolo originale inglese) è uno dei più celebri romanzi del primo Philip Dick, un autore di culto ricordato dai più per aver fornito il soggetto del film Blade Runner.
La storia alternativa (il what if? tipico delle ucronie) di The Man in the High Castle, vincitore del Premio Hugo 1963, affronta lo scenario di un mondo in cui la seconda guerra mondiale è stata vinta dalle potenze dell’Asse - la Germania nazista, l’Italia fascista e il Giappone - le quali si sono divise la quasi totalità delle terre emerse, inclusi quegli Stati Uniti che sono stati divisi in due parti (la costa est ai nazisti, quella ovest ai nipponici), inframezzate dallo Stato cuscinetto delle Montagne Rocciose.
Negli Stati Americani del Pacifico i giapponesi hanno il ruolo (oggi ricoperto dai turisti americani) di collezionisti di antichi oggetti d’arte statunitensi, forti della loro posizione di potere e del ruolo di razza dominante, che pur non li preserva dall’accumulare patacche all’uopo predisposte da abili falsari (esattamente come accade ai nostri tempi, del resto).

Quella di fondo è sicuramente un ‘idea inquietantemente affascinante, elaborata quando ancora non erano passati vent’anni dalla fine del secondo conflitto mondiale. Ma Dick non si riduce alla descrizione, che sarebbe stata probabilmente banale e didascalica, di un mondo completamente diverso da quello che oggi conosciamo. La fanta-storia è un pretesto per mettere in pista alcune idee ancor più suggestive e surreali: i protagonisti de La svastica sul sole leggono a loro volta un romanzo ucronico semi-clandestino (La cavalletta non si alzerà più) che parla di un mondo in cui le potenze dell’Asse sono state sconfitte da Stati Uniti e Inghilterra.
L’autore del romanzo è proprio quell’uomo nell’alto castello che dà il titolo al romanzo: si tratta dello scrittore Hawthorne Abendsen che ha ormai fatalisticamente rinunciato a barricarsi in un castello-bunker, in cui tentava di sfuggire ai sicari nazisti.
Nel gioco di universi alternativi creato da Dick il personaggio diventa a sua volta lettore, in un inquietante e borgesiano gioco di specchi.
Come inquietante è il messaggio che Dick vuole lanciare circa l’ineluttabilità degli eventi storici (non necessariamente con il fine di scagionare le “colpe” americane riguardo l’utilizzo dell’arma atomica): nel mondo a dominazione nipponico-nazista, i tedeschi progetteranno il bombardamento nucleare contro gli alleati giapponesi. Come a dire che l’uomo non può evitare di toccare il fondo, mirando all’auto-annientamento, indipendentemente dalle pieghe che in concreto prendono gli eventi.
Ad un’attenta analisi si può intravedere in Dick anche un inno al libero arbitrio, alla scelta etica individuale in opposizione agli orrori che la storia può proporre: è la scelta che effettua il funzionario giapponese Tagomi, quando si rifiuta di concedere ai nazisti l’estradizione dell’artigiano ebreo Frank Frink, destinato a morte certa in un sistema che ha ormai metabolizzato l’olocausto. Un messaggio che, contestualizzato nell’epoca in cui uscì il libro (il 1962, nel pieno dell’era Kennedy e della guerra fredda con l’Unione Sovietica), può acquistare significati ben precisi.

La ricostruzione storica che effettua l’autore è abbastanza libera, senza la preoccupazione di una verosimiglianza a tutti i costi. Ciò vale sia per il mondo ucronico in cui dominano nazisti e giapponesi (dopo che Hitler è uscito di senno, il posto di führer è stato ricoperto da Himmler, quindi da Bormann e poi da Goebbels), sia per il “terzo mondo” de La cavalletta non si alzerà più (in cui Roosevelt è stato assassinato a un anno dall’elezione, riuscendo comunque ad avviare il New Deal; Pearl Harbour non è mai avvenuta; i russi sono stati comunque battuti da Hitler, a sua volta sconfitto da inglesi e americani). Una scelta spiazzante che confonde ulteriormente un lettore già disorientato.
Il libro di Dick, tanto inquietante quanto affascinante, non è esente da qualche difetto: in primis, a fronte della palese avversione per il nazismo, l’autore rende invece di fatto buoni i giapponesi, facendo emergere il suo amore per la cultura orientale, che si ravvisa anche nel continuo richiamo al Libro dei mutamenti (quell’I Ching che occupa diverse pagine del romanzo, con il rischio di auto-procurarsi l’etichetta di allucinazione new age).

In conclusione, La svastica sul sole è sicuramente un libro originale e discretamente avvincente, le cui potenzialità di lettura tra le righe emergono anche grazie alle preziose introduzione e postfazione redatte, rispettivamente, da Carlo Pagetti e Luigi Bruti Liberati.

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