Anno di prima pubblicazione: 1962
Edito da: Fanucci
Voto: 7,5/10
Pagg.: 317
Traduttore: Maurizio Nati
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Tra i più noti esempi di romanzo
ucronico - genere ibrido tra fantascienza, fantapolitica, storia e
distopia - La svastica sul sole (noto anche come L’uomo
nell’alto castello, dal titolo originale inglese) è uno dei
più celebri romanzi del primo Philip Dick, un autore di culto
ricordato dai più per aver fornito il soggetto del film Blade
Runner.
La storia alternativa (il what if?
tipico delle ucronie) di The Man in the High Castle, vincitore
del Premio Hugo 1963, affronta lo scenario di un mondo in cui la
seconda guerra mondiale è stata vinta dalle potenze dell’Asse - la
Germania nazista, l’Italia fascista e il Giappone - le quali si
sono divise la quasi totalità delle terre emerse, inclusi quegli
Stati Uniti che sono stati divisi in due parti (la costa est ai
nazisti, quella ovest ai nipponici), inframezzate dallo Stato
cuscinetto delle Montagne Rocciose.
Negli Stati Americani del Pacifico i
giapponesi hanno il ruolo (oggi ricoperto dai turisti americani) di
collezionisti di antichi oggetti d’arte statunitensi, forti della
loro posizione di potere e del ruolo di razza dominante, che pur non
li preserva dall’accumulare patacche all’uopo predisposte da
abili falsari (esattamente come accade ai nostri tempi, del resto).
Quella di fondo è sicuramente un ‘idea
inquietantemente affascinante, elaborata quando ancora non erano
passati vent’anni dalla fine del secondo conflitto mondiale. Ma
Dick non si riduce alla descrizione, che sarebbe stata probabilmente
banale e didascalica, di un mondo completamente diverso da quello che
oggi conosciamo. La fanta-storia è un pretesto per mettere in pista
alcune idee ancor più suggestive e surreali: i protagonisti de La
svastica sul sole leggono a loro volta un romanzo ucronico
semi-clandestino (La cavalletta non si alzerà più) che parla
di un mondo in cui le potenze dell’Asse sono state sconfitte da
Stati Uniti e Inghilterra.
L’autore del romanzo è proprio
quell’uomo nell’alto castello che dà il titolo al
romanzo: si tratta dello scrittore Hawthorne Abendsen che ha ormai
fatalisticamente rinunciato a barricarsi in un castello-bunker, in
cui tentava di sfuggire ai sicari nazisti.
Nel gioco di universi alternativi
creato da Dick il personaggio diventa a sua volta lettore, in un
inquietante e borgesiano gioco di specchi.
Come inquietante è il messaggio che
Dick vuole lanciare circa l’ineluttabilità degli eventi storici
(non necessariamente con il fine di scagionare le “colpe”
americane riguardo l’utilizzo dell’arma atomica): nel mondo a
dominazione nipponico-nazista, i tedeschi progetteranno il
bombardamento nucleare contro gli alleati giapponesi. Come a dire che
l’uomo non può evitare di toccare il fondo, mirando
all’auto-annientamento, indipendentemente dalle pieghe che in
concreto prendono gli eventi.
Ad un’attenta analisi si può
intravedere in Dick anche un inno al libero arbitrio, alla scelta
etica individuale in opposizione agli orrori che la storia può
proporre: è la scelta che effettua il funzionario giapponese Tagomi,
quando si rifiuta di concedere ai nazisti l’estradizione
dell’artigiano ebreo Frank Frink, destinato a morte certa in un
sistema che ha ormai metabolizzato l’olocausto. Un messaggio che,
contestualizzato nell’epoca in cui uscì il libro (il 1962, nel
pieno dell’era Kennedy e della guerra fredda con l’Unione
Sovietica), può acquistare significati ben precisi.
La ricostruzione storica che effettua
l’autore è abbastanza libera, senza la preoccupazione di una
verosimiglianza a tutti i costi. Ciò vale sia per il mondo ucronico
in cui dominano nazisti e giapponesi (dopo che Hitler è uscito di
senno, il posto di führer è stato ricoperto da Himmler, quindi da
Bormann e poi da Goebbels), sia per il “terzo mondo” de La
cavalletta non si alzerà più (in cui Roosevelt è stato
assassinato a un anno dall’elezione, riuscendo comunque ad avviare
il New Deal; Pearl Harbour non è mai avvenuta; i russi sono stati
comunque battuti da Hitler, a sua volta sconfitto da inglesi e
americani). Una scelta spiazzante che confonde ulteriormente un
lettore già disorientato.
Il libro di Dick, tanto inquietante
quanto affascinante, non è esente da qualche difetto: in primis, a
fronte della palese avversione per il nazismo, l’autore rende
invece di fatto buoni i giapponesi, facendo emergere il suo amore per
la cultura orientale, che si ravvisa anche nel continuo richiamo al
Libro dei mutamenti (quell’I Ching che occupa diverse
pagine del romanzo, con il rischio di auto-procurarsi l’etichetta
di allucinazione new age).
In conclusione, La svastica sul sole
è sicuramente un libro originale e discretamente avvincente, le cui
potenzialità di lettura tra le righe emergono anche grazie alle
preziose introduzione e postfazione redatte, rispettivamente, da
Carlo Pagetti e Luigi Bruti Liberati.
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