30 dicembre 2014

Giulio Cesare, di William Shakespeare

Giulio Cesare (Julius Caesar), di William Shakespeare

Anno di probabile composizione: 1599

Edito da: Mondadori, Feltrinelli, Garzanti, Newton & Compton e altri

Voto: 8,5/10

Pagg.: 229 (nell'edizione Garzanti)

Traduttore: Flavio Giacomantonio (Newton & Compton)

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Il Giulio Cesare di William Shakespeare racconta gli ultimi giorni di vita del dittatore e grande condottiero romano, ma anche e soprattutto i fatti successivi alla sua morte, fino alla decisiva battaglia di Filippi (42 a.C.) tra Antonio e Ottaviano, da una parte, e Bruto e Cassio dall'altra, i due principali artefici della congiura che portò all'assassinio di Cesare nelle idi di marzo dell'anno 44 a.C.

Shakespeare si documentò, a quanto pare, principalmente attingendo dalle Vite parallele di Plutarco (Vita di Cesare e Vita di Bruto).
Per un'opera di questo genere, destinata alla rappresentazione teatrale, non era ovviamente requisito indispensabile la correttezza della ricostruzione storica, che in effetti lascia a desiderare in diversi punti. Come chiaramente soltanto abbozzata è la scansione temporale delle vicende, con i primi tre atti ambientati nel marzo del 44 a.C., per poi saltare, negli ultimi due atti, al 42 a.C., senza che però la cosa si avverta in modo chiaro.
La tragedia inizia, dunque, con gli ultimi giorni di vita di Cesare prima di quelle fatali idi di marzo, dalle quali un indovino aveva cercato di metterlo in guardia con quella celeberrima profezia:
"Guardati dagli Idi di marzo".
In quei giorni, alcuni senatori cospiravano contro il dittatore, ritenuto nemico della libertà e pronto a incoronarsi nuovo re di Roma.
Tra i più attivi nella congiura vi era Caio Cassio, che cercava di convincere Marco Giunio Bruto (un esponente di spicco del senato romano, appartenente ad una delle famiglie patrizie più importanti dell'urbe) ad uccidere Cesare, quest'ultimo apparentemente colpevole di oscurare le loro figure e minare la loro stessa libertà di cittadini:
"egli siede a cavalcioni dell’angusto mondo come un Colosso, e noi, piccoli uomini, camminiamo sotto le sue enormi gambe, scrutando intorno, alla ricerca delle nostre ingloriose tombe. Gli uomini, a volte, sono arbitri del proprio destino: la colpa, caro Bruto, non è delle stelle, ma di noi stessi, che siamo degli schiavi".
Bruto si unisce ai cospiratori, che uccidono Cesare il giorno delle idi di marzo.
Avvicinatolo in senato lo pugnalano ripetutamente.
Cesare, vedendo anche il fidato Bruto tra coloro che stanno attentando alla sua vita, si lascia uccidere, smettendo di lottare:
"Et tu, Brute? Allora muori, Cesare!".
Ucciso Cesare, i congiurati, Bruto in testa, si danno da fare per spiegare al popolo la loro azione ed evitare così la rappresaglia:
"Cesare mi amò, ed io lo piango; la fortuna gli fu propizia, ed io ne sono felice; fu prode, ed io gli rendo onore; ma, poiché fu ambizioso, gli ho tolto la vita. E perciò, lacrime per il suo amore, gioia per la sua fortuna, onore per il suo coraggio, e morte per la sua ambizione".
Dopo l'uccisione del dittatore, Marco Antonio, da sempre fedele a Cesare, deve scendere a compromessi con i congiurati, nel timore di esser vittima anch'egli delle loro azioni.
Dopo il discorso di Bruto, tuttavia, tiene anch'egli un'accorata orazione (una delle parti più famose della tragedia) in cui, con grande abilità oratoria, riesce a fomentare il popolo contro gli assassini di Cesare, dimostrando come quest'ultimo non fosse in realtà così ambizioso e svelando ai cittadini di Roma la sua generosità verso il popolo, rendendo noto il testamento che conteneva per esso importanti lasciti.
Il tutto con accurati espedienti retorici, in modo da non lasciar intendere il suo tradimento verso l'accordo fatto con i congiurati.
Due anni dopo, a Filippi, in Macedonia, l'esercito di Marco Antonio e dell'erede di Cesare (suo nipote Ottaviano) si scontrerà con le legioni di Bruto e Cassio, in una battaglia che vedrà la sconfitta e il suicidio di questi ultimi.

Il Giulio Cesare di Shakespeare è sì incentrato sulla figura dell'abile condottiero romano, ma il vero protagonista della tragedia sembra essere Bruto, personaggio sempre alle prese con gli scrupoli etici derivanti dalle azioni che si appresta a compiere. Bruto è caratterizzato come persona integerrima, che decide di partecipare all'assassinio di Cesare soltanto per amore di Roma e della libertà e a scapito dei suoi rapporti col primo uomo di Roma.
I due atti conclusivi sono quasi interamente dedicati a tale personaggio e al suo rapporto con Cassio, colui che lo ha convinto a uccidere Cesare e che rappresenta, invece, la malignità e la cattiveria.
Quanto a Cesare, dunque, non sembrerebbe di sicuro il protagonista, se non fosse il personaggio attorno al quale ruota tutto l'intreccio.
Le sue battute, infatti, non sono moltissime, e tuttavia se ne contano alcune memorabili, come quella resa celebre dalla parafrasi che ne fece qualche decennio fa il magistrato siciliano Paolo Borsellino:
"I codardi muoiono molte volte prima della loro dipartita; gli audaci non conoscono la morte che una volta sola".
Il personaggio di Marco Antonio è fondamentale, mentre viene praticamente quasi ignorato quello di Ottaviano, a cui vengono lasciate poche battute di importanza secondaria, se si fa eccezione per quella che conclude la tragedia, che però è storicamente non veritiera (Ottaviano rende onore alla salma di Bruto, quando invece pare che ne esigette la decapitazione, per mandare la testa a Roma come segno della compiuta vendetta).

In ogni caso, si tratta di una tragedia tra le più celebri di Shakespeare, sicuramente non attendibilissima per verosimiglianza del resoconto storico, ma comunque dotata della giusta dose di ampollosità e retorica, come si conviene alla descrizione di eventi così importanti nella storia dell'antichità.

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