29 gennaio 2016

America perduta, di Bill Bryson

America perduta: In viaggio attraverso gli Usa (The Lost Continent: Travels in Small-Town America), di Bill Bryson

Anno di prima pubblicazione: 1989

Edito da: Feltrinelli

Voto: 7/10

Pagg.: 302

Traduttori: Annamaria Melania Galliazzo, Amedeo Poggi

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America perduta è il primo libro di successo di Bill Bryson (ve ne è uno precedente, che, come racconta con autoironia lo stesso autore, fu pubblicato soltanto come disperato – e vano – tentativo della casa editrice di salvarsi dal fallimento).

Scritto sul finire degli anni Ottanta e pubblicato nel 1989, è un libro di viaggio, genere prediletto dal pur eclettico autore dell’Iowa.
Si intravede già lo stile che lo renderà celebre in tutto il mondo: quel reportage ricco di umorismo ed aneddoti comici, anche se, ad onor del vero, i libri scritti in seguito sono decisamente più esilaranti.
In ogni caso, lo humour traspare fin dall’incipit, in cui Bryson presenta la sua città natale, da cui partirà il tour della Nazione:
Sono nato a Des Moines.
Capita.
Chi nasce a Des Moines o accetta la cosa pacificamente, si sposa con una ragazza del posto di nome Bobbi, va a lavorare alla Firestone e vive lì tutta la vita, oppure passa l’adolescenza a lagnarsi perché vive in un mortorio e non vede l’ora di andarsene; poi si sposa con una ragazza del posto di nome Bobbi, va a lavorare alla Firestone e vive lì tutta la vita.

Il viaggio lo porta in giro per gli Stati Uniti, dapprima verso est, alla scoperta di quelle piccole cittadine richiamate nel titolo originale.
Come Gatlinburg, Tennessee, una località turistica non esattamente entusiasmante:
Mio padre si sarebbe fatto operare al cervello col Black-and-Decker piuttosto che passare, anche una sola ora, in un luogo simile.
Ma l’autore non visita soltanto località “minori”, bensì anche molti luoghi turistici di richiamo (il New England, Philadelphia, Washington).
Siamo sul finire degli anni Ottanta, e nelle grandi città si percepisce ancora una certa insicurezza, soprattutto quando si passa per le periferie o i quartieri popolari:
… nutrivo una profonda gratitudine verso chiunque non mi abbordasse. Avrei voluto distribuire volantini con la scritta: GRAZIE PER NON AVERMI UCCISO.
Quelle grandi città dotate di una rete viaria labirintica, a cui si aggiunge il problema del caos e del traffico:
La rete stradale di Boston è una cosa da pazzi. Senza dubbio è stata progettata da qualcuno che ha passato l’infanzia a distruggere trenini-giocattolo. (…) Non è un sistema viario, è un’isteria stradale. Tutti hanno un’aria preoccupata. Non ho mai visto così tante persone impegnate a evitare un tamponamento.
Come non essere d’accordo con Bryson: Boston, con la sua diramazione sotterranea, è, insieme a Las Vegas, la città USA in cui, più che da altre parti, l’esperienza alla guida è in grado di trasformarsi in una vera e propria odissea (anche peggio di New York, che, non fosse per il traffico, è tutt’altro che complicata).

Dopo aver chiuso il giro degli Stati dell’est ed essere tornato a Des Moines, Bryson riparte in direzione ovest, oggetto della seconda parte del libro.
Anche nel west prevale la visita alle località di richiamo (Death Valley, Grand Canyon, Sequoia National Park) più che alle piccole città.
Il viaggio termina dopo aver toccato 38 Stati (mancano all’appello soltanto l’Alaska, le Hawaii e i dieci Stati del sud) e 22.475 chilometri percorsi.

Un libro interessante e piacevole, anche grazie ad un umorismo efficace, sebbene, come detto, non all’altezza di quelli che saranno i successivi libri di viaggio di Bryson.
L’aspetto negativo principale è invece costituito dal tradimento delle premesse, esplicite nel titolo originale e comunque emergenti anche in quello italiano: dell’America “perduta”, della “Small-Town America”, c’è davvero ben poco. Bryson dedica ampio spazio a quelle che sono le grandi città e le località di maggior richiamo turistico, soffermandosi solo in minima parte sui luoghi “minori”. Se l’elencare paesi dai nomi buffi (cosa che l’autore fa molto spesso nel libro) vuol dire viaggiare per l’America delle piccole città allora non ci siamo proprio.
Molto meglio affidarsi, per chi ha tali interessi, ad un libro meraviglioso e, quello sì, incentrato sull’America di provincia come Strade blu, di William Least Heat-Moon.
Per questi aspetti, America perduta resta più un libro da primo approccio agli Stati Uniti.

Per il resto, dal punto di vista narrativo Bryson conferma il suo vizio di abbondare nella descrizione di momenti di poca o nulla importanza: frasi come
tornai al motel, con una fame da lupo. Guardai un po’ di tivù e lessi un libro
sono davvero inusuali in un reportage di viaggio che vuole avere una pur minima ambizione letteraria e non aggiungono nulla, se non la sensazione di essere talvolta di fronte ad una compilazione scolastica.

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