28 luglio 2015

Storie di cinema, di Pino Farinotti

Storie di cinema, di Pino Farinotti

Anno di prima pubblicazione: 2010

Edito da: Morellini e Gelmini

Voto: 7,5/10

Pagg.: 349

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Pino Farinotti, per chi non lo conoscesse, è un critico cinematografico celebre per aver portato, per primo in Italia, l’idea di un’opera che raccogliesse le recensioni di tutti i film.
Il suo Dizionario dei film, pubblicato per la prima volta nel 1980, è stato successivamente aggiornato fino ad assumere, recentemente, il nome del suo Autore: “Il Farinotti”.
Farinotti ha anche fondato il sito MyMovies, uno dei punti di riferimento on-line per gli appassionati di cinema.


In quest’opera vengono raccolti una serie di brevi saggi e articoli scritti da Farinotti nel corso degli anni, per il sito o per i quotidiani.
Del resto, come dice il titolo stesso, siamo di fronte a "Storie di cinema" più che ad una organica "Storia del cinema".
Buona parte del libro è occupata dalle biografie dei protagonisti del mondo del cinema (la sezione "Eroi"), scritte solitamente in occasione della loro morte o dell’anniversario della morte (Paul Newman, John Wayne, Charlton Heston, Bergman, Antonioni, ecc.).
Abbiamo poi diverse recensioni di singoli film, classici (in occasione dell’uscita in home video) o recenti (principalmente si tratta di film delle stagioni 2008-2009).
Alcuni articoli un po’ autocelebrativi sono stati scritti per la trasposizione cinematografica di un romanzo scritto dallo stesso Farinotti, 7 km da Gerusalemme.
Vi sono infine, qua e là sparsi all’interno dell’opera, interessanti saggi tematici, in cui si analizza come un determinato tema o argomento è stato affrontato nella storia del cinema (sezioni "Cinema e politica" e "Cinema e società": ad esempio, le elezioni, la guerra in Iraq, le lotte studentesche, le disabilità, ecc.).

Filo conduttore dell’opera è la filosofia farinottiana del cinema, riassumibile in quello che è diventato il suo motto: “dalla parte del pubblico”.
Pur essendo un addetto ai lavori, l’Autore parla infatti di cinema in modo semplice e adatto a tutti, diffidando di chi esalta a tutti i costi film che sono risultati incomprensibili per lo spettatore medio (“Se un’opera ti deve essere spiegata da qualcuno, non sei tu che non l’hai capita, è l’opera che non si è fatta capire”) e, di contro, riconoscendo il giusto valore a opere che, pur bistrattate dalla critica, hanno avuto un ampio successo di pubblico (con il limite invalicabile dei cinepanettoni, che l’Autore demolisce puntualmente).
In tal modo, Farinotti sembra volersi ritagliare il ruolo di “critico del popolo”.
Questi temi vengono trattati, principalmente, nel saggio La critica e il pubblico: i nemici di sempre:
La didascalia (e l’intento) che mi sono attribuito da quando ho iniziato a scrivere di cinema è: “dalla parte del pubblico”. Non significa essere dalla parte del botteghino, ma cercare una mediazione fra il gradimento di chi va al cinema e quello di chi lo critica. Un altro assunto è: un grande film non è mai proiettato in una sala troppo piena o in una troppo vuota, salvo eccezioni”.
Per certe opere (quelle più “popolari”) l’Autore ritiene addirittura inutile l’intervento della critica:
È come coinvolgere l’F.B.I. in un divieto di sosta”.
Eppure il successo al botteghino di opere che di artistico hanno poco o nulla (inclusi i vituperati cinepanettoni) è un dato di fatto, che Farinotti spiega raccontando un aneddoto che ebbe come protagonisti un buffone medievale e il sommo Dante Alighieri:
Il “comico” era vestito con sfarzo, e pieno di ori, seguito da uno stuolo di ammiratori. Riconobbe Dante, gli si pose davanti, gli disse: “Un grande poeta come te cammina quasi lacero e solo? Guarda me, ignorante buffone, ricco e pieno di amici. Come mai?” Dante gli rispose: ”Perché ce ne sono molti di più dei tuoi che dei miei”.”

Si parla di film, ma anche di letteratura, che in moltissimi casi è il vero motore dell’opera cinematografica:
 Un cattivo romanzo è una base perfetta per un grande film: il regista non è vincolato dalle regole intoccabili di una storia che non può essere che quella”.
Una teoria che sembra trovare diverse conferme nella storia del cinema. Del resto, tirar fuori un buon film da un capolavoro della letteratura è più difficile di quanto si possa pensare e l’Autore ce lo fa intuire con un interessante aneddoto.
Farinotti racconta dell’incontro tra Irving Thalberg, il boss della MGM, e Francis Scott Fitzgerald. Pare che il primo disse al secondo che era costretto, a malincuore, a rinunciare alla sua collaborazione, giustificandosi con queste parole: “la tua prosa è un godimento, ma non possiamo fotografare gli aggettivi”.
Sull’intramontabile argomento del confronto tra cinema e letteratura, l’Autore, nonostante il suo ruolo, finisce per decretare la prevalenza di quest’ultima:
Nel 1926, a Parigi, proiettarono il celeberrimo film La corazzata Potemkin. In quell’anno, a Parigi, si trovava il fiore di tutta la cultura del mondo: c’erano Hemingway, Joyce, Fitzgerald. Divennero rivoluzionari, vedendo quel film, tanto la sua carica era accorata, forte, violenta. Basti pensare alle scene in cui i marinai si ribellano perché la carne è avariata e vengono condannati a morte; il plotone di esecuzione punta il fucile e, quando è il momento di sparare, spara per terra: questo è il trionfo, è il cattivo che non ce la fa. Hemingway disse che quando uscì da quella sala era rivoluzionario. La suggestione dettata dal cinema, però, dura un’ora o due, o magari un giorno; le manca l’antropologia che viene dalla letteratura. Se si legge Germinale di Émile Zola, si leggono seicento pagine sulla vita e sui dolori dei minatori. Non bastano dieci film per trasmettere quel sentimento, per quella cultura, quel dolore. È la prevalenza della letteratura rispetto al cinema”.

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