Anno di prima pubblicazione: 2014
Edito da: Treccani
Voto: 6,5/10
Pagg.: solo ebook
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Scritto per l'Enciclopedia delle
scienze sociali Treccani, questo saggio breve di Gianfranco
Bettetini, critico e regista televisivo, affronta il tema del cinema
secondo una prospettiva di teoria generale del mezzo di
comunicazione.
Nella parte iniziale viene spiegata
brillantemente la genesi scientifica del cinema, che viene dapprima
utilizzato per esigenze di rappresentazione del reale, salvo poi
scoprirne il potenziale “magico” e narrativo: “le 'neutrali'
riproduzioni di frammenti dinamici della realtà finivano spesso per
trasformarsi in raccontini piacevoli, in affascinanti narrazioni che
coinvolgevano le reazioni emotive degli spettatori molto di più
della loro attenzione conoscitiva”.
È dunque lo stesso pubblico a spingere
verso la spettacolarizzazione dell'arte cinematografica. Un ruolo
fondamentale per il compimento di tale passaggio ebbe, sul finire
dell'Ottocento e agli inizi del Novecento, il francese Georges
Méliès, con il quale “la dimensione del fantastico e del
magico cominciò a interferire con l'istanza realistica”.
Ecco così che “il laboratorio
dello scienziato si trasformava un poco alla volta, per colpa della
stessa invenzione, nell'antro del mago”. Non per nulla i
Lumière erano dei tecnici che giunsero alla loro invenzione nel
contesto della fabbrica di materiale fotografico del padre. Méliès,
invece, era proprio un'illusionista, fin da subito attirato dalle
enormi potenzialità del nuovo mezzo di espressione.
Una certa attenzione viene dedicata ad
una fase fondamentale della storia del cinema come quella del
passaggio al sonoro. In tale fase, l'estrema attenzione che veniva
dedicata alla sonorizzazione in diretta dell'immagine comportava “un
immediato decadimento di qualità nella produzione filmica”.
Un qualcosa a cui si ovviò, con il
passare degli anni, grazie all'invenzione del doppiaggio, anche se
ciò non comportò “alcun sensibile spostamento della produzione
media dalla strada maestra della più attendibile verosimiglianza”.
L'originaria distinzione tra cinema
documentaristico e cinema magico-narrativo si riversa nella
successiva dicotomia tra “cinema della realtà e cinema
dell'immagine”.
Il primo è chiaramente uno “strumento
riproduttivo o, al più, mediatore di un discorso già presente nelle
cose filmate”; il cinema dell'immagine, invece, è un vero e
proprio “linguaggio autonomo, che utilizza la materialità del
reale per conseguire forme discorsive (…) indipendenti”.
Ma del resto, come afferma in maniera
inconfutabile l'autore, “tutta la storia del cinema può essere
interpretata come l'incrocio fra usi trascrittivi, meccanicamente
passivi, dell'immagine e usi linguistici del suo potenziale segnico”.
L'autore analizza anche un'altra
questione controversa, quella dell'orientamento al profitto a cui
buona parte del cinema è dedita (in particolar modo nella concezione
hollywoodiana). L'industrializzazione del cinema può comportare
“concreti rischi di degradazione e di svilimento della qualità
degli scambi comunicativi” fino addirittura a diventare lo
specchio “di una cultura generale vuota, insulsa e, quindi, per
dirla con Nietzsche, di un 'rimbecillimento in atto'; ma è
altrettanto vero che non tutto il cinema può essere così definito e
che, soprattutto, non lo si può considerare, ontologicamente, solo
in questa prospettiva”.
L'autore passa ad esaminare la nozione
di “genere”, una categoria “attiva in tutti gli ambiti delle
comunicazioni di massa, che ha ottenuto, però, una particolare
attenzione e una rigorosa applicazione proprio in quello del cinema”.
Bettetini definisce il “genere”
come un “modello di organizzazione che interessa tanto l'ambito
della forma, quanto quello dei contenuti”.
Il concetto di “genere” e il suo
“rigoroso rispetto” è stato alla base della fortuna del
cinema classico, anche se, da qualche decennio a questa parte, tale
concetto è entrato in crisi: “Oggi, la crisi del cinema ha
anche spezzato l'incanto dei suoi generi”.
Altre considerazioni interessanti sono
quelle formulate riguardo un fenomeno squisitamente cinematografico
come quello del divismo: “L'immagine del divo si trova investita
di un sapere esterno al film, a volte così determinante da indurre
gli apparati a riprodurre per lo stesso divo la stessa figura
attorale, lo stesso ruolo, in situazioni testuali narrative (o
addirittura di genere) diverse”.
Il libro di Bettetini è spesso molto
interessante, ma per larga parte troppo generico e pregno di
quell'ermeneutica dei concetti che non brilla sicuramente per
concretezza. È un opera, in tal senso, di livello alto e teorico,
non adatta a chi volesse un approccio semplice e illustrativo del
concetto di cinema.
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