23 agosto 2014

I due gentiluomini di Verona, di William Shakespeare

I due gentiluomini di Verona (The Two Gentlemen of Verona), di William Shakespeare

Anno di probabile composizione: tra il 1590 e il 1595

Edito da: Garzanti, Newton & Compton

Voto: 5/10

Pagg.: 185 (nell'edizione Garzanti)

Traduttore: Corrado Pavolini (Newton & Compton)

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Opera giovanile di Shakespeare, tra le prime ad essere composte, “I due gentiluomini di Verona” è sicuramente una commedia minore del Bardo.
È tra le più brevi come dimensioni (tanto che alcuni hanno ipotizzato che ci sia giunta incompleta, basandosi sul fatto che sia stata pubblicata per la prima volta soltanto nel 1623, ossia sette anni dopo la morte del Bardo e circa trent’anni dopo la data di probabile redazione).
Vi si trovano alcuni dei temi e delle ambientazioni (Milano, Verona), nonché alcune situazioni e personaggi (il Duca di Milano come in The Tempest; una ragazza di nome Giulia), che verranno ripresi in seguito da Shakespeare per opere ben più celebri e importanti.

La commedia narra dei due giovani Proteo e Valentino, uniti da una forte amicizia, che vivono in quel di Verona. Più sedentario il primo (anche a causa del suo grande amore per la giovane Giulia), più intrepido il secondo, che infatti decide di trasferirsi alla corte del Duca di Milano.
Verrà in seguito raggiunto da Proteo, il quale dimentica (fin troppo facilmente) la sua Giulia, innamorandosi di Silvia, figlia del Duca, amata da Valentino:
Come caldo scaccia caldo
e chiodo scaccia chiodo,
così svanisce dinanzi ad un nuovo oggetto
il ricor­do del mio antico amore.”
Proteo arriverà a tradire l’amico, denunciandone al Duca il tentativo di rapire Silvia, nella speranza di veder allontanato il rivale, che difatti viene esiliato. Nel tentare di rientrare a Verona, Valentino incontra una banda di briganti, i quali, impressionati dalla sua storia e dal suo portamento, lo nominano loro capitano.
Silvia, che è promessa dal padre allo sciocco Turio, fugge lontano da quest’ultimo e da Proteo (che invano ha rivelato il suo amore alla giovane), alla ricerca di Valentino.
Nel frattempo, Giulia era partita da Verona, travestita da paggio, per cercare Proteo, potendo così di nascosto assistere al tradimento delle promesse a lei fatte dal giovane prima di partire.
Nel finale i quattro si incontrano nei dintorni di Mantova e Valentino apprende del tradimento di Proteo. Eppure, a fronte del suo sincero pentimento, lo perdona, decidendo addirittura di rinunciare a Silvia per “cederla” a lui, pur se ella ripudiava Proteo, inorridita dal suo doppio tradimento (in questo punto abbiamo la più grossa incoerenza etica della commedia):
Chi del pentimento non si appaga non sta in cielo né in terra: ché questi si ritengon soddisfatti.
La penitenza placa l'ira dell'Eterno.
E, a che il mio amore appaia libero e schietto, tutto ciò ch'era mio di Silvia a te lo dono.”
Giulia, accortasi di ciò, perde i sensi, così rivelandosi e ponendo fine al suo travestimento.
Proteo, afflitto dalla sofferenza della giovane e commosso dalla sua caparbietà, si riconcilia con Giulia. A questo punto Valentino può ottenere la mano di Silvia e i quattro decidono di sposarsi nello stesso giorno.


Una commedia semplice, con un finale banale e discutibile (oltreché scialbo). La “cessione” di Silvia da parte di Valentino all’amico Proteo (che l’aveva tradito, pur essendosi in seguito pentito) lascia quanto meno perplessi, sia per la semplicità con cui Valentino arriva ad un tale gesto, sia perché rivela un atteggiamento misogino e padronale (che per il vero affiora in altri punti della commedia – vedi l’utilizzo del termine “oggetto” associato ad una donna nella famosa citazione sopra riportata).
Poco dopo aver scoperto il grave tradimento dell’amico e che questi si è scusato, pentendosi sinceramente, gli offre la sua amata (nonostante ella disdegni Proteo a causa del suo comportamento): una situazione surreale, che è stata giustificata da molti con il fatto che, a quell’epoca, l’amicizia era un valore ben più grande dell’amore (un’amicizia però che era stata gravemente tradita).
Alcuni, per giustificare l’incoerenza, hanno richiamato il tema dell’omosessualità, che sarebbe latente in Proteo e Valentino.
In ogni caso, un finale che, a mio modesto parere, uccide il livello di una commedia che, nella sua parte centrale, non è poi così male, considerato che si tratta di un’opera giovanile.

Per quanto riguarda lo stile, risaltano un certo humour anglosassone (soprattutto nei personaggi dei due servi dei gentiluomini) e un cospicuo utilizzo di calembour e giochi di parole, che invero risultano più interessanti leggendo l’opera in lingua originale (seppure alcuni traduttori abbiano cercato di renderli in italiano, con risultati più o meno soddisfacenti).

Per concludere, una curiosità: Shakespeare pone Verona e Milano sul mare (non esplicitamente, ma ciò si desume dal fatto che il viaggio tra le due località viene fatto in nave, su un corso d’acqua soggetto all’alta e alla bassa marea). Segno che il Bardo da giovane non conosceva così bene la geografia e le mappe dell’Italia, oppure che abbia utilizzato i nomi di Verona e Milano pur immaginando altrove lo svolgimento della scena.


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