18 agosto 2014

Le Tigri di Mompracem, di Emilio Salgari

Le Tigri di Mompracem, di Emilio Salgari

Anno di prima pubblicazione: 1883-1884 (con il titolo La Tigre della Malesia)

Edito da: Mondadori, BUR, Newton & Compton e altri

Voto: 9/10

Pagg.: 288 (nell'edizione Newton & Compton)

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Di Emilio Salgari (accento sulla seconda a) è già stato detto e scritto di tutto.
Nato a Verona, tentò invano di diplomarsi come capitano di lungo corso, ripiegando poi sulla carriera giornalistica.
Fu proprio nei giornali locali che cominciò a pubblicare a puntate i suoi romanzi d'esordio, tra cui uno dei primi fu proprio Le Tigri di Mompracem, inizialmente intitolato La tigre della Malesia.
Trasferitosi in Piemonte, prima nel Canavese (Ivrea, Cuorgnè, Alpette), poi a Torino, si dedico interamente alla scrittura.
Nella ricchissima biblioteca centrale di Torino poteva consultare diari di viaggio e carte geografiche provenienti da ogni dove.
Nella collina torinese, così selvaggia eppure così vicina alla città, si dice abbia trovato ispirazione per alcune ambientazioni della jungla malese.
Oberato dai debiti, stipulò contratti capestro con gli editori, i quali, sull’onda del suo grande successo di pubblico, gli chiedevano, ciascuno, anche tre libri all’anno.
Una circostanza che fu per lui croce e delizia: lo resero, infatti, uno dei più prolifici autori di romanzi in Italia (sicuramente il più prolifico nell’ambito dei romanzi di avventura); ma lo portarono, d’altra parte, alla disperazione e al suicidio, avvenuto nel 1911, dopo aver scritto un'amara lettera di accusa proprio contro quegli stessi editori.
Salgari rappresenta sicuramente, ancora oggi, il vertice del romanzo d’avventura italiano. Eppure è un autore spesso snobbato nelle antologie e nelle storie della letteratura. Diede vita ad una produzione sconfinata di quasi un centinaio di romanzi (oltre duecento opere, contando anche i racconti), che inevitabilmente persero in qualità con l’andare del tempo, dato che le scadenze non gli consentivano spesso nemmeno di rileggere ciò che scriveva.
Ebbe un successo popolare smisurato, che portò i suoi eredi ad incaricare alcuni ghost-writer per proseguire la sua opera (sono parecchi gli apocrifi salgariani).
Un successo popolare a cui si deve, probabilmente, questa sottovalutazione negli ambienti della letteratura “alta” del Bel Paese.


Un successo che fu non solamente italiano, se si pensa che suo grande ammiratore era il giovane Che Guevara (che lesse oltre sessanta dei suoi romanzi) e che il messicano Paco Ignacio Taibo II, a cento anni dalla sua morte, ha scritto un romanzo prendendo in prestito i suoi personaggi più famosi: Sandokan, la Tigre della Malesia, e il suo amico portoghese Yanez de Gomera (a cui di recente il cantautore dialettale Davide Van De Sfroos ha dedicato un pezzo portato a Sanremo).
Le Tigri di Mompracem è, come detto, uno dei primi romanzi dell’autore veronese, il primo ad avere come protagonista Sandokan, la famigerata Tigre della Malesia. L'enorme fortuna di pubblico diede il via ad un ciclo che conta ben undici romanzi.
Di Salgari non si sa se sorprenda di più la formidabile scorrevolezza della sua prosa, una fluidità che lascia letteralmente incollati alle pagine, o la sua incredibile capacità inventiva, qualcosa di stupefacente se si pensa che il veronese, a differenza dei grandi romanzieri d’avventura suoi contemporanei, Jack London e Joseph Conrad su tutti, non aveva mai visitato i posti che così bene descriveva, non avendo del resto mai messo piede fuori dall’Italia (anche se per le vicende di mare fu aiutato dalla sua pur non compiuta istruzione da capitano di lungo corso).
Il romanzo narra la storia del malese Sandokan, sanguinario pirata che si aggira con i suoi vascelli seminando il terrore tra il Borneo e le isole circostanti (tra cui Mompracem, isola immaginaria che è l’inespugnabile covo della banda).
Impegnato in un’eterna vendetta contro gli inglesi, che gli hanno trucidato la famiglia, facendogli inoltre perdere titoli e ricchezze, Sandokan è di certo l’uomo più coraggioso che mai si sia visto da quelle parti. Non esita a lanciarsi all’arrembaggio di navi molto più grandi e meglio armate, a lottare contro eserciti anche dieci volte più numerosi, aiutato dai suoi “Tigrotti”, le Tigri di Mompracem del titolo, i suoi fedeli marinai, brutali e assetati di sangue.
Eppure, dopo aver conosciuto per la prima volta la sconfitta contro gli acerrimi nemici inglesi ed essere scampato miracolosamente alla morte, qualcosa cambierà nell’animo battagliero della Tigre della Malesia: la bellissima Lady Marianna, quella Perla di Labuan di cui aveva sentito parlare come la donna più bella di quelle latitudini, gli farà conoscere l’amore.
Chi lo avrebbe detto che un giorno, io che non avevo mai sentito il mio cuore battere; che non avevo saputo amare altro che il mare, le pugne tremende, le stragi, sarei stato domato da una fanciulla, da una figlia di quella razza alla quale avevo giurato una guerra d’esterminio?
Lady Marianna è infatti inglese, sebbene di origine italiana (è nata nel golfo di Napoli, da madre italiana). Ma soprattutto è stata promessa a un baronetto inglese da parte dello zio di lei, che l’ha in custodia da quando era bambina, dopo la morte dei genitori.
Proprio lo zio di Lady Marianna raccoglie, sulla riva del mare, un Sandokan in fin di vita, dopo la battaglia persa con gli inglesi. Ignorando che si tratti della temibile Tigre della Malesia, lo accoglierà in casa, curandolo e ospitandolo e dandogli la possibilità di conoscere la nipote e di innamorarsene, un amore peraltro ampiamente ricambiato.
Ma la sua vera identità verrà ben presto scoperta e dovrà così fuggire, abbandonando l’amata.


Sandokan è ormai una persona completamente diversa: è risoluto a rapire Lady Marianna e ritirarsi a vivere con lei lontano da quei posti. A ricominciare a vivere dicendo addio alla pirateria e al suo passato:
Cosa vuoi, Yanez: così è scritto. L’amore della fanciulla dai capelli d’oro doveva spegnere il pirata di Mompracem.
È triste, immensamente triste, mio buon Yanez, dover dare un addio e per sempre a questi luoghi e dover perdere la fama e la potenza, eppure dovrò rassegnarmi.
Non più battaglie, non più tuonare di artiglierie, non più fumanti carcasse inabissantisi nei baratri di questo mare, non più tremendi abbordaggi!...
Compiuto con successo il rapimento, dovrà difendersi dalla rappresaglia degli inglesi, i quali gli scateneranno contro un’intera flotta pur di recuperare (suo malgrado) la ragazza e porre fine, una volta per tutte, alla minaccia pirata nei mari del Borneo.
Quella Mompracem a cui nessuno aveva mai osato nemmeno avvicinarsi, verrà messa a ferro e fuoco in un’ultima terribile battaglia di mare e di terra…
Un bellissimo romanzo d’avventura che, ancorché datato, darebbe ancora oggi del filo da torcere ai moderni maestri del genere, quanto a suspence.
Unico difetto di un libro che fila davvero come un treno in corsa, si trova probabilmente nel finale, eccessivamente impulsivo e precipitoso nell’arrivare ad una conclusione. Il ritmo, che per tutto il romanzo era stato sì veloce ma sempre ben dosato, si rende in chiusura un po’ troppo avventato.
Stiamo in ogni caso parlando, con cognizione di causa, di una delle vette toccate dal romanzo d’avventura italiano.

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