20 agosto 2014

Il tempo della decrescita, di Serge Latouche, Didier Harpagès

Il tempo della decrescita. Introduzione alla frugalità felice (Le temps de la décroissance), di Serge Latouche e Didier Harpagès

Anno di prima pubblicazione: 2010

Edito da: Elèuthera

Voto: 5/10

Pagg.: 112

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Che l'idea della decrescita si trasformi nell'ennesima utopia è un rischio concreto, nonostante l'entusiastica presentazione che ne fanno Latouche e Harpagès in questo pamphlet, che contiene qualche osservazione sicuramente interessante (soprattutto nell'esposizione dei problemi ambientali e della paradossalità della società dei consumi: "Compriamo perché la società possa continuare a produrre e garantirci quel lavoro che ci è necessario per pagare quello che abbiamo comprato").

Tuttavia personalmente non mi convince quando tenta di esporre le soluzioni a tali problemi: i temi della decrescita, del chilometro zero, del fai da te, sono soggetti a diverse obiezioni.
Innanzitutto chi critica lo spreco o il consumo abnorme delle risorse entra in contraddizione se poi propone un modello di utilizzo inefficiente delle stesse (che a sua volta genera spreco) come sarebbe quello della de-specializzazione. Inoltre non è un mistero che il mercato (perché tale è) dello "slow" sia diventato più una moda che una virtù: tutto ciò che fa profitti (industria dello slow food inclusa) alimenta i meccanismi capitalistici, pur etichettandosi come anti-sistema. Il biologico è attualmente non-economico e ciò è un problema su cui gli autori non si soffermano: come se le tasche di milioni di persone non fossero una questione a cui pensare. Si rischia così che ciò che viene proposto come modello di virtù alla fine si riduca a un lusso, o al più a uno stile di vita, a uno scrupolo etico.
Ma così di certo non si risolve alcun problema.
Non è mai "troppo presto per dire che è troppo tardi". Verissimo, ma questo libro, a mio avviso non fornisce soluzioni convincenti.
Soluzioni che probabilmente, come la proverbiale virtù, stanno nel mezzo: né il consumismo fine a se stesso e ecologicamente irresponsabile, né l'autarchia antiglobale e antispecialistica.
Che un vasetto di yogurt faccia 9.000 km prima di arrivare su una tavola è sì un paradosso, ma un paradosso economicamente giustificato in termini di efficienza. E fin quando sarà così, le cose non cambieranno, se non negli stili di vita di coloro (temo pochi) che decideranno coraggiosamente di cambiare vita sulla base di un mero stimolo etico.

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