
Il romanzo picaresco si inserì infatti nell’alveo della tradizione letteraria medievale, dominata dal poema cavalleresco, stravolgendone i caratteri.
La letteratura cavalleresca era infatti incentrata sulla descrizione, spesso pomposa (nel solco della tradizione del poema epico), delle gesta dei cavalieri medievali.
Si contano due filoni principali: i cosiddetti ciclo bretone e carolingio.
Il primo era incentrato su Re Artù e i cavalieri della tavola rotonda ed assunse ben presto connotati fantastici (le figure di Mago Merlino e della Fata Morgana), che si affiancavano alle più tradizionali vicende amorose dei cavalieri (Lancillotto e Ginevra, Tristano e Isotta), per arrivare finanche a tematiche pseudo-religiose (in particolare con riferimento al Graal).

Il romanzo picaresco, invece, ha come protagonista il pìcaro, un antieroe, di bassa estrazione
sociale (quando non è proprio un furfante, come suggerirebbero alcune
traduzioni del termine).
Anch’egli è coinvolto in una serie di avventure, ma non si
tratta delle imprese cavalleresche del passato.Anch’egli solitamente viaggia, ma non per compiere grandi imprese in luoghi remoti: il suo è più un vagare errabondo.

Caratteri del romanzo picaresco sono, oltre a quelli contenutistici anzidetti, una certa rappresentazione ironica delle avventure vissute dal protagonista (che contrasta con l’ampollosa seriosità delle imprese narrate nei poemi cavallereschi), ed un aspetto stilistico fondamentale: la narrazione pseudo-autobiografica, in cui l’io narrante coincide con il protagonista, consentendo così all’autore una maggiore libertà di satira.
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