12 novembre 2014

Sulla strada, di Jack Kerouac

Sulla strada (On the Road), di Jack Kerouac

Anno di prima pubblicazione: 1957

Edito da: Mondadori

Voto: 9,5/10

Pagg.: 351 (nell'edizione de La Repubblica)

Traduttore: Magda Maldini de Cristofaro

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On the road è una sinfonia (beat) in quattro movimenti, è un’autostrada verso l’inferno e la perdizione, il manifesto di una generazione perduta, quella dell’immediato secondo dopoguerra.
Quella generazione che cercava di sollevarsi e insieme ribellarsi al rinnovato annebbiamento neo-conservatore.

Ma è anche lo spaccato di un'altra America, quella dei barboni e dei vagabondi (i cosiddetti hobos), senza un soldo in tasca, ma con lo stesso spirito selvaggio e ribelle dei primi pionieri, nell'esplorare il territorio ma anche soltanto nel sopravvivere alla quotidianità.
Una generazione che cercava di vivere il sogno americano a modo suo, in un’epoca di generale disillusione.

Kerouac scrisse On the road nel 1951, in sole tre settimane (battendo a macchina su un unico rotolo di carta, il celebre “scroll”, lungo oltre 36 metri), sotto l’effetto del caffè e della benzedrina (come dichiarò in un primo momento, salvo poi confessare che in realtà si era strafatto soltanto di caffè).
Scriveva di getto (aiutato da nutriti quadernetti di appunti), in quel suo stile che definiva “prosa spontanea”.
Eppure il libro non venne pubblicato prima del 1957. Nella generale atmosfera inquisitoria del maccartismo, ci vollero ben sei anni prima che la Viking Press desse alle stampe un testo comunque fortemente editato: nomi originali sostituiti con nomi di fantasia, eliminazione o revisione delle scene più esplicite o comunque sconvenienti, rinforzatura di una punteggiatura volutamente disordinata, nella scrittura di getto della prosa spontanea di Kerouac.
Una versione, quella originale dello “scroll”, riscoperta e stampata ultimamente anche in Italia.

Sulla strada racconta la storia e i viaggi di Jack Kerouac alias Sal Paradise (che in certe traduzioni viene buffamente italianizzato in Salvatore Paradiso) e del suo amico Dean Moriarty (che sarebbe l’amico di Kerouac Neal Cassady), un ragazzo un po’ fuori di testa e che diventerà sempre più matto col passare del tempo.
- Salve, ti ricordi di me… Dean Moriarty? Sono venuto a chiederti di farmi vedere come si scrive. (…)
- Diavolo, amico, so benissimo che non sei venuto da me solo per il desiderio di diventare scrittore, e dopo tutto, che ne so io in proposito? So solo che devi darci dentro con l’energia di uno dedito alla benzedrina.”
I due si rivedono dopo lungo tempo, poco prima che Sal decida di imbarcarsi in un’avventura on the road, in giro per gli Stati Uniti, partendo da Paterson, New Jersey, il luogo dove abita con la zia (che sarebbe in realtà la madre di Kerouac):
Così, dopo aver lasciato il mio grosso mezzo manoscritto sistemato in cima allo scrittoio, e dopo aver ripiegato per l’ultima volta le mie comode lenzuola casalinghe, me ne andai una mattina con la mia valigia di tela nella quale erano riposte poche cose essenziali e partii per l’Oceano Pacifico con i cinquanta dollari in tasca. A Paterson avevo studiato per mesi le carte geografiche degli Stati Uniti e m’ero letto persino i libri che parlavano dei pionieri, andando in visibilio per nomi come Platte e Cimarron e così via, e sulla carta stradale c’era una lunga linea rossa chiamata Strada Statale numero 6, che portava dalla cima di Cape Cod dritto fino a Ely, nel Nevada, e da lì scendeva fino a Los Angeles. Mi sarei messo sulla numero 6 per tutto il percorso fino a Ely, dissi a me stesso, e intrapresi il viaggio con fiducia.”
Un progetto, quello di percorrere l’intera Route 6, che deve essere subito accantonato:
Era il mio sogno che andava a monte, la stupida idea da tavolino che sarebbe stato meraviglioso seguire un’unica grande linea rossa attraverso l’America invece che tentare varie strade e percorsi.”
Dopo aver fallito la tappa a nord ed essere rientrato a New York, Sal prende un autobus per Chicago, quindi uno per Joliet (sempre nell’Illinois). Con vari passaggi (tra cui uno su un autocarro di dinamite) giunge nell'Iowa (Davenport, poi Des Moines). Quindi attraversa il Nebraska (Omaha, Shelton) fino a Cheyenne (Wyoming) sulla piattaforma di un autotreno che raccattava tutti gli autostoppisti come lui.
Giunge infine in Colorado, a Denver, dove lo attendevano gli altri membri della comitiva: oltre a Dean Moriarty, quel Carlo Marx che altri non è che l’alter ego del poeta beat Allen Ginsberg, e vari altri membri di quella che Sal definisce “una nuova generazione bruciata cui mi stavo lentamente aggregando”.
Inizia un periodo di baldoria e goliardie nella Mile-High City, finché Sal decide di partire per San Francisco, questa volta in autobus, via Salt Lake City (Utah), Reno (Nevada) e poi attraverso la Sierra Nevada.
Trascorre qualche settimana a "Frisco" con Remi Boncoeur e la sua ragazza Lee Ann, prima che i rapporti tra di loro precipitino inesorabilmente, nonostante il buon feeling iniziale.
Un buon pretesto, se mai ce ne voleva uno, per rimettersi in viaggio:
"Dovevo andare a sud; mi rimisi sulla strada."
Ancora in autostop, attraverso la California (Fresno, Bakersfield).
A una stazione dove aspetta l’autobus per Los Angeles, Sal conosce Terry, una ragazza messicana che sta scappando da un marito violento.
Scoppia tra loro una sorta di passione, che ha più che altro i connotati della condivisione delle (dis)avventure necessarie a far fronte ad una altrimenti triste condizione di solitudine.
Nella metropoli californiana tentano di cercare lavoro, invano. Sono costretti così a rimettersi in viaggio, con sempre meno denaro nelle tasche. Di nuovo verso Bakersfield e Fresno, poi a Sabinal (l’attuale Selma), paese della ragazza, dove vive anche il figlio di lei.
Per tirar su qualche dollaro Sal inizia a lavorare nei campi di cotone, ma a malapena i tre riescono a procacciarsi i soldi per mangiare. Dopo qualche tempo Sal decide di tornare dalla zia nel New Jersey. Si separa da Terry e dopo esser tornato a L.A. prende un pullman per Pittsburgh e da lì in autostop rientra a New York.
D’un tratto mi ritrovai in Times Square. Avevo fatto tredicimila chilometri in giro per il continente americano ed ero di ritorno in Times Square; e proprio nel mezzo di un’ora di punta, per di più, a guardare con i miei occhi resi innocenti dalla strada l’assoluta pazzia e il fantastico andirivieni di New York con i suoi milioni e milioni di uomini che si prendono a gomitate all’infinito tra di loro per un dollaro, il pazzo sogno: afferrare, prendere, dare, sospirare, morire, solo per poter essere sepolti in quell’orribile necropoli dietro a Long Island City.”

La seconda parte (fine 1948 – inizio 1949) è ambientata circa un anno dopo la prima (che va da luglio a ottobre 1947).
Dean arriva dalla California con la sua ragazza Marylou e un nuovo amico, e raggiunge Sal in Virginia, dove si trova in visita da parenti. Ancora una volta è tempo di vagare e scorrazzare per gli States, prima con varie scorribande nel nord-est, tra New York e la Virginia, poi, ancora una volta, sulla strada verso l'ovest, a bordo della Hudson di Dean.
Sedevamo e non sapevamo che dire; non c’era più nulla di cui parlare. L’unica cosa da fare era partire.”
Passano da New Orleans dall'amico Old Bull Lee, il nome fittizio con cui Kerouac si riferisce a William S. Burroughs nelle edizioni censurate.
Ci vorrebbe una notte intera a raccontare del vecchio Bull Lee; per ora, diciamo soltanto che era un maestro, e si può affermare che aveva tutti i diritti di insegnare perché aveva passato tutta la sua vita ad imparare.”
Dean (sempre più squinternato), Marylou e Sal si rimettono in auto: attraversano la Louisiana, tutto il Texas, passando da El Paso, il New Mexico, l'Arizona, facendo tappa a Tucson per racimolare qualche dollaro.
Impegnano orologi, rubano pane e formaggio nei market e benzina nelle stazioni di servizio, se hanno la fortuna di beccare un commesso o un addetto distratto.
E poi di nuovo la California: Bakersfield, Tulare, e ancora Frisco.
Vagammo qua e là, portandoci i nostri fagotti di stracci nelle strette strade romantiche. Tutti avevamo l’aspetto di comparse del cinema fallite, di stelline appassite; controfigure disincantate, corridori di microvetture, personaggi patetici della California con la loro tristezza fine-continente, prestanti, decadenti uomini alla Casanova, bionde da autostello con gli occhi sporgenti, teppisti, ruffiani, sgualdrine, masseur, fattorini: un’accolta di relitti, e come può uno guadagnarsi da vivere in mezzo a una banda del genere?”.
È di nuovo ora di partire, e Sal abbandona Dean e le sue donne, per tornare a New York in autobus.

La terza parte, quella cronologicamente più estesa, comincia nella primavera del 1949, quando Sal riparte per Denver, dove però non trova nessuno dei vecchi amici. Torna allora a Frisco dove incontra Dean, che intanto s'è fatto una famiglia con una nuova ragazza, Camille, e vive in una discreta casa in cima a Russian Hill. Ma Dean, nonostante gli oneri derivanti dalla nuova condizione di padre, è tutto fuorché rinsavito e con Sal non può far altro che progettare nuovi viaggi, stavolta con l'idea di andare in Italia.
Dopo alcuni giorni di baldoria a San Francisco, al ritmo della musica jazz (la musica è centrale in Kerouac, soprattutto il jazz e il bebop, allora in voga), i due ripartono per l'est con il sistema, già sperimentato, del passaggio in auto rimediato in agenzia di viaggi a fronte del pagamento di qualche dollaro per il carburante.
L'autista è un "pederasta", come lo chiama Sal, che ben presto decide di lasciare la guida a Dean:
Dean era di nuovo felice. Tutto quel che gli ci voleva era un volante fra le mani e quattro ruote sulla strada.”
Ancora una volta senza soldi, ma con grandi sogni nella testa e la libertà che scorre nelle vene: “cibarsi di stelle” è la bellissima espressione che conia Kerouac per descrivere questa condizione.
Tornano a Denver giusto per il tempo necessario a mettersi nei guai, grazie alla follia sempre più crescente di Dean, che inizia a rubare auto a destra e a manca. Prima di essere scoperti e venir buttati in galera riescono ad andarsene dal Colorado, sperimentando un nuovo metodo per viaggiare: in un'agenzia viene loro affidata un’auto, da portare fino a Chicago per conto del proprietario, che aveva preferito prendersela comoda e viaggiare con altri mezzi, ma che non aveva pensato che la sua Cadillac sarebbe finita in mano a uno come Dean, il quale, ben presto, quasi demolisce il bolide a causa della sua guida spericolata.
Ma riescono infine ad arrivare a Chicago, seppure in condizioni pietose, e dopo aver raccattato altri vagabondi e autostoppisti lungo la strada:
Mentre attraversavamo le sonnolente città dell’Illinois dove la gente è profondamente conscia delle bande di Chicago che passano così ogni giorno a bordo di berline, noi offrivamo uno strano spettacolo: tutti con la barba lunga, un autista a torso nudo, due vagabondi, io nel sedile posteriore, aggrappato a una cinghia e con la testa appoggiata indietro sul cuscino e l’occhio dall’espressione imperiosa rivolto alla campagna: proprio come una nuova banda della California venuta a contendere le spoglie di Chicago, una banda di desperados evasi dalle prigioni sotto la luna dello Utah.”
Eravamo venuti da Denver a Chicago passando dal ranch di Ed Wall, millenovecento chilometri, impiegandoci diciassette ore esatte, senza contare le due ore passate nel fosso e le tre al ranch e le due con la polizia a Newton, nello Iowa, a una media di centodieci l’ora per tutto il percorso, con un solo autista. E questo è una specie di primato pazzesco.”
Si fermano qualche giorno nella metropoli dell’Illinois. Ma Chicago è un punto di partenza più che di arrivo o di permanenza. È la città da cui parte la mitica Route 66, per giungere a Santa Monica, Los Angeles. E non può che ispirare uno spirito anti-stanziale nei due amici:
"- Sal, dobbiamo andare e non fermarci mai finché non arriviamo.
- Per andare dove, amico?
-Non lo so, ma dobbiamo andare."
Ripartono così per Detroit, dove passano la notte in un cinema notturno, non avendo un posto migliore in cui stare, né denaro da spendere per un albergo. L'ennesima occasione per osservare da vicino l'estrema varietà del carnevale umano:
La gente che stava in quel cinema notturno era d’infimo ordine. Negri male in arnese che erano venuti su dall’Alabama per lavorare nelle fabbriche d’automobili solo avendone sentito parlare; vecchi straccioni bianchi; giovani debosciati dai capelli lunghi che avevano raggiunto la fine della china e bevevano vino; prostitute, coppie regolari, e massaie con niente da fare; nessun luogo dove andare, nessuno in cui credere. Se si fosse setacciata tutta Detroit con un cestello di fil di ferro non si sarebbe potuto raccoglier meglio, in più infimo solido nucleo della feccia.”
Da Detroit a New York, attraverso l'Ohio e la Pennsylvania fino a giungere alla nuova casa della zia di Sal a Long Island.
Eravamo talmente abituati a viaggiare che dovemmo camminare per tutta Long Island, ma più in là non c’era altra terra, solo l’Oceano Atlantico, e non potevamo andare più lontano di così.”
Il progetto del viaggio in Italia, ovviamente, tramonta come tutti gli altri progetti dei due amici:
Con un figlio illegittimo in qualche punto dell’Ovest, Dean aveva a quell’epoca quattro piccoli suoi e non un centesimo, e come sempre era pieno di guai e di estasi e di verve. Così non andammo in Italia.”

Ed ecco la quarta parte, il quarto movimento della sinfonia. L’ultima, se si considera che la quinta è soltanto un’appendice, formalmente separata ma strutturalmente collegata alla quarta.
Dopo un periodo trascorso insieme a Dean a New York, in cui sembra quasi che questi abbia messo la testa a posto (o forse no), Sal decide di ripartire, questa volta senza il suo amico.
Dopo una breve sosta a Washington, percorre il Paese in autobus fino a Denver:
Al tramonto rimasi a schiarirmi la gola sul fiume Kanawha e a Charleston, nel West Virginia, camminai nella notte montanara; a mezzanotte Ashland, nel Kentucky, e una ragazza solitaria sotto la tettoia di un teatro chiuso. Il buio e misterioso Ohio, e Cincinnati all’alba. Poi di nuovo i campi dell’Indiana, e St. Louis avvolto come sempre dalle sue grandi nuvole nelle vallate, al pomeriggio. La ghiaia fangosa e i tronchi del Montana, i piroscafi sfasciati, le vecchie insegne, l’erba e i cordami sul fiume. Il poema senza fine. Di notte il Missouri, i campi del Kansas, le mucche notturne del Kansas nei segreti spazi aperti, paesi di rimorchi con un mare ad ogni fine di strada; l’alba in Abilene. I prati del Kansas orientale diventano le alture del Kansas occidentale che si arrampicano su per le colline della notte del West.”
Ma il richiamo della libertà per Dean è troppo forte e lo porta a compiere l'ennesima follia. Con quei pochi soldi che aveva messo da parte, e che in teoria erano destinati al mantenimento dei figli sparsi per il Paese, compra un’auto e raggiunge Sal a Denver.
È di nuovo ora di mettersi sulla strada, Dean, Sal e un nuovo compagno di viaggio recuperato a Denver.
Attraversano il Texas, questa volta da nord verso sud, ed entrano in Messico a Nueva Laredo, al confine con la Laredo statunitense.
Il Messico, terra di passione e di calore, di povertà e di musica.
A Gregoria i tre si danno alla pazza gioia in un bordello del posto, spendendo un sacco di denaro davanti a gente che tutti quei soldi magari non li vede in una vita. Una scena allucinata, quella della serata a Gregoria, descritta da Kerouac divinamente, con le parole che sembrano richiamare il ritmo del mambo che li accompagna.
Arrivano fino a Città del Messico e ancora una volta il viaggio finisce, con Dean che se ne torna indietro a fare i conti con la sua vita complicata.
É finita un'avventura che vale una vita, un'esperienza intensa e commovente, cristallizzata da Kerouac in un poetico, meraviglioso finale che reca l'agrodolce sensazione del tempo che passa; un tempo stravolto dalle passioni vissute quotidianamente e che, esso soltanto, può consolidare rapporti come quello tra Sal e Dean:
Così in America quando il sole va giù e io siedo sul vecchio diroccato molo sul fiume a guardare i lunghi, lunghissimi cieli sopra il New Jersey e avverto tutta quella terra nuda che si svolge in un’unica incredibile enorme massa fino alla Costa Occidentale, e tutta quella strada che va, tutta la gente che sogna nell’immensità di essa, e so che nello Iowa a quell’ora i bambini stanno certo piangendo nella terra in cui lasciano piangere i bambini, e che stanotte usciranno le stelle, e non sapete che Dio è l’Orsa Maggiore?, e la stella della sera deve star tramontando e spargendo il suo fioco scintillio sulla prateria, il che avviene proprio prima dell’arrivo della notte completa che benedice la terra, oscura tutti i fiumi, avvolge i picchi e rimbocca le ultime spiagge, e nessuno, nessuno sa quel che succederà di nessun altro se non il desolato stillicidio di diventar vecchi, allora penso a Dean Moriarty, penso persino al vecchio Dean Moriarty, il padre che mai trovammo, penso a Dean Moriarty.”

Lo stile di On the road è fin dal principio semplice e scorrevole. Uno stile narrativo classico, per certi versi. Beat più che altro nei contenuti.
Una scrittura lineare e lucida, apparentemente elementare ma potentissima. A differenza di altri stili che hanno fatto della semplicità il loro cavallo di battaglia, quello di Kerouac è uno scrivere genuino. Non si ha minimamente la sensazione di leggere qualcosa di artificioso o costruito.
Se si pensa al fatto che un tale risultato sia stato raggiunto con un lavoro continuativo di sole tre settimane, la cosa lascia sbalorditi.
L'effetto è quello di una piacevole naturalezza. La scrittura di Kerouac è una calda coperta che avvolge ogni singolo neurone:
Presto venne il crepuscolo, un crepuscolo vinoso, un crepuscolo color porpora sopra i giardini di mandarini e i lunghi campi di meloni; il sole era del colore dell’uva spremuta, con squarci di rosso borgogna, i campi color dell’amore e dei misteri di Spagna. Sporsi la testa dal finestrino e aspirai boccate profonde dell’aria fragrante.”
La prima parte è sicuramente quella scritta meglio, semplicemente perfetta.
Le due parti centrali sembrano far trasparire una certa stanchezza (ricordando anche qui le condizioni in cui il libro fu scritto), per poi riprendersi nel finale.
La seconda e la terza parte sono sì leggermente inferiori, ma più per una certa confusione del resoconto, sconosciuta alla prima parte, che per una effettiva variazione di registro.
Non che non vi si trovino anche in esse frammenti di assoluto pregio, come, per esempio, quella descrizione della San Francisco multietnica compiuta tramite l'espediente della descrizione dell’estrema varietà della sua gastronomia. Un passo che abbraccia tutti e cinque i sensi in un'orgia di sapori:
Alla finestra annusai i profumi di tutti i cibi di San Francisco. C’erano rivendite di frutti di mare laggiù, dove i panini erano caldi, e persino i cestini erano abbastanza buoni da mangiare; (…) c’erano locali specializzati nel roast-beef au jus, spesso e rosso, o nel pollo arrosto spruzzato col vino. C’erano posti dove le polpette sfrigolavano sulle graticole e il caffè costava solo un nichelino. E, oh, quell’aroma di chow mein fritto in padella che alitava dal quartiere cinese fin dentro la mia stanza, e gareggiava con le salse di spaghetti di North Beach, i granchiolini dal guscio tenero del Fisherman’s Wharf… anzi, le costate di Fillmore che giravano sugli spiedi! Aggiungeteci i peperoni con fagioli di Market Street, belli caldi, e le patatine fritte a striscioline nella notte vinosa sull’Embarcadero, e telline al vapore dall’altra parte della baia di Sausalito, e questo è il mio sospiroso sogno di San Francisco. Aggiungeteci la nebbia, cruda nebbia apportatrice di fame, e il vibrare del neon nella notte dolce, il ticchettare di belle donne in tacchi alti, bianche colombe nella vetrina di una drogheria cinese…”.

Il contesto in cui nasce On the road è, come detto, quello dell’immediato dopoguerra, ma anche e soprattutto quello del post ’29, con la crisi che aveva impoverito milioni di americani, costringendo molti di essi a vagare per il Paese in cerca di nuove opportunità. Una crisi, quella del ’29, che aveva intaccato il modello a stelle e strisce del consumismo a oltranza.
Sono gli anni del maccartismo e della caccia alle streghe anticomunista, condita da un forte bigottismo.
In tale contesto, il viaggio e il vagabondaggio sono atti di ribellione, tentativi di colmare un vuoto esistenziale che crea angoscia interiore.
La vita “normale”, quella che Sal rifugge, quella con cui Dean non riesce proprio a scendere a patti, è un orribile compromesso che i giovani della generazione perduta non vogliono accettare, rifugiandosi nell’alcool, nelle droghe, nell’errabondo vagare per il Paese senza un soldo, rubando o cercando improbabili quanto effimere occupazioni.
La rivoluzione beat, che inizialmente non veniva nemmeno avvertita come tale (del resto la tradizione americana dei “ribelli” era ben risalente, partendo da Thoreau e giungendo a Henry Miller e Hemingway), non è altro che questo.
L’innovatività dell’approccio beat appare con tutta la sua evidenza pensando a quello che succederà di lì a un decennio, con il sessantotto.
Questo è On the road, ma è anche molto di più.
È il manifesto della libertà del vivere e insieme dell’angoscia del vivere, che ognuno vuole trovarci dentro.

"Dovemmo tornare a San Francisco con l'autostop. Ero di nuovo sulla strada."

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