2 novembre 2014

Ultimo confine del mondo, di E. Lucas Bridges

Ultimo confine del mondo. Viaggio nella Terra del Fuoco (Uttermost Part of the Earth), di E. Lucas Bridges

Anno di prima pubblicazione: 1948

Edito da: Einaudi

Voto: 9,5/10

Pagg.: 590

Traduttore: Duccio Sacchi

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Quella della famiglia Bridges nella Terra del Fuoco, a cavallo tra la seconda metà dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento, è un'incredibile epopea, una affascinante storia di pionierismo e di scoperta.
Ma soprattutto è una storia vera, e questa sua genuinità contribuisce a renderla, agli occhi del lettore, epica e passionalmente coinvolgente.

 

Era il 1826 quando il brigantino Beagle capitanato da Robert FitzRoy, in missione in Sudamerica con l'obiettivo di cartografare le frastagliate e poco conosciute coste meridionali del Nuovo Mondo, approdava nel sud dell'isola della Terra del Fuoco, dove vennero esplorate baie e scoperti canali, il più importante dei quali era quella lunga e stretta via di comunicazione che correva nella stessa direzione dello Stretto di Magellano e che delimitava la parte sud dell'Isla Grande de Tierra del Fuego: il Canal Beagle, che prese il nome proprio dal vascello capitanato da FitzRoy.
Che sorpresa quando l'imbarcazione inviata in esplorazione in quella che sembrava solo una profonda insenatura, si ricongiunse al Beagle da sud dopo aver circumnavigato l'isola Navarino!
Dopo aver completato la sua missione in altri lidi e prima di tornare in Inghilterra, FitzRoy ripassò dalla Terra del Fuoco e rapì, con un pretesto, quattro di quegli stravaganti indigeni che navigavano (e sembravano vivere) su canoe di corteccia e dai quali erano stati spesso avvicinati con intenzioni reputate dagli europei non esattamente amichevoli.
I quattro rapiti appartenevano al gruppo degli Yahgan, secondo il nome che venne loro dato qualche tempo più tardi, una delle quattro etnie fuegine insieme a quelle degli Ona, degli Haush e degli Alakaluf. Gli Yahgan (che chiamavano loro stessi Yamana, ossia, semplicemente, “uomini”) vivevano nella parte sud dell’arcipelago fuegino, tra il canale di Beagle e Capo Horn; gli Ona (o Selknam) vivevano nell’Isla Grande de Tierra del Fuego, a nord delle montagne sopra Ushuaia, nell’entroterra e fino alla costa atlantica; gli Haush (detti anche Ona orientali) erano stati invece relegati alla punta sud orientale dell’Isla Grande; gli Alakaluf, infine, abitavano le frastagliate isole occidentali. 



Ai quattro giovani rapiti vennero dati nomi assai buffi: Memory Boat, York Minster, Fuegia Basket e Jimmy Button. Il primo di essi morì, mentre gli altri, dopo tre anni di intensa educazione cristiana e dopo essere stati ricevuti niente meno che dai reali di Inghilterra, tornarono in Terra del Fuoco, sempre sul Beagle, capitanato ancora una volta da FitzRoy. A bordo, al ritorno, c'era anche un giovane studioso e naturalista, Charles Darwin, che pur trascorrendo un anno intero - la durata della navigazione - con i tre indigeni, non riuscì a non farsi idee sbagliate e pregiudizievoli sul popolo fuegino: in particolare egli credette che fossero cannibali e che il loro linguaggio fosse incredibilmente povero, tanto da ritenerli la tribù che più si avvicinava a quell'anello mancante della catena evolutiva che tanto cercava per far quadrare la sua teoria evoluzionistica.
Tuttavia Lucas Bridges, che in mezzo ai quei popoli visse per molti decenni, integrandosi fin quasi a diventare uno di loro, esclude totalmente la teoria del cannibalismo (dovuta a suo dire a incomprensioni linguistiche o a vere e proprie invenzioni da parte dei quattro rapiti, a fronte di pressanti richieste degli europei che volevano a tutti i costi sentirsi dire ciò che si aspettavano). I fuegini non mangiavano la carne di avvoltoio perché sapevano che quell'uccello si nutriva di cadaveri, figurarsi se mangiavano carne umana!
Come tutte le leggende che si rispettino, quella sui mangiatori di uomini della Terra del Fuoco si autoalimentò per colpa dell'ego di chi la faceva sopravvivere: "le fosche storie sul cannibalismo fuegino" denuncia Lucas Bridges, erano "divulgate da sedicenti esploratori animati più dal desiderio di figurare come eroi di avventure sensazionali che dal minimo amore per la verità".
In secondo luogo, la lingua dei popoli locali non era affatto povera, come evidenzia il dizionario Yahgan-inglese, un’opera monumentale (oggi custodita al British Museum), pazientemente redatta, nel corso degli anni, dal padre di Lucas, il reverendo Thomas Bridges. Tutt'altro: la lingua Yahgan era enormemente ricca, come dimostrano gli oltre 30.000 vocaboli presenti nell'opera e il fatto che per certe parole per noi semplici come "neve" o "spiaggia", gli Yahgan avessero un gran numero di termini diversi, in base, ad esempio, al punto di vista in cui si trovava colui che parlava.
FitzRoy lasciò i tre fuegini in una baia dell'isola Navarino, baia Wulaia, insieme a un catechista, il primo vero colonizzatore della Terra del Fuoco, Richard Mathews. Il quale però non resistette a lungo, costantemente assalito e brutalmente infastidito dagli Yahgan, che lo depredarono di tutti i suoi averi. Mathews decise dunque di andarsene e si reimbarcò con FitzRoy, lasciando la gestione della piccola colonia ai tre fuegini "civilizzati".
Ma, evidentemente, tre anni di educazione non erano affatto sufficienti per individui abituati a vivere nell'estremo, e al ritorno del Beagle dai suoi viaggi di scoperta, 15 mesi più tardi, Darwin e Fitzroy trovarono soltanto più Jimmy Button, peraltro regredito allo stato primitivo, con gli altri due che erano scappati con tutti i suoi averi.

Il secondo tentativo di civilizzare ed educare cristianamente quei popoli fu compiuto da un esponente della Società Missionaria Patagonica, Allen Gardiner, che nel 1850 approdò in Terra del Fuoco, dopo un precedente tentativo infruttuoso. Gardiner e i suoi, che cercavano disperatamente Jimmy Button e gli altri due fuegini "civilizzati", furono accolti dall'esacerbata ostilità degli Yahgan e furono costretti a fuggire lungo le coste dell'Isla Grande fino a trovare una disperata morte di stenti a Spaniard Harbour, nell'unica baia in cui le condizioni meteorologiche impervie davano loro tregua dall'aggressività indigena.
Il diario di Gardiner, ritrovato accanto al cadavere dell'uomo, racconta di questi orribili giorni: eppure il missionario ebbe anche la lucidità per appuntare consigli per i posteri, affinché potessero avere successo nell'impresa da lui miseramente fallita.
Consigli che accolse il segretario della Società Missionaria Patagonica, reverendo Despard, che salpò con la sua famiglia, tra cui il figlio adottivo Thomas Bridges, verso le isole Falkland, dove stabilì la base della missione, come da suggerimento di Gardiner.
Ma l'ennesimo tentativo di formare una colonia in terra fuegina, nuovamente alla Baia Wulaia, sull'isola Navarino, finì in tragedia: il catechista Garland Philips e gli altri componenti della spedizione vennero brutalmente assassinati dagli indigeni durante una celebrazione religiosa; a capo degli assalitori c'era proprio quel Jimmy Button che avrebbe dovuto essere il più civilizzato degli Yahgan e che invece aveva unito alla naturale indole aggressiva del suo popolo l'invidia e la gelosia per il fatto che i privilegi concessi a lui 30 anni prima venissero ora estesi ai suoi simili, i quali, da qualche tempo, venivano portati alle Falkland per instaurare relazioni e per far imparare la lingua ai missionari, come da disegno di Gardiner.
Despard e il figlio adottivo Thomas Bridges erano rimasti alle Falkland e sfuggirono pertanto al massacro.

Dopo una tale tragedia, Despard fu vinto dalla disillusione e rinunciò a proseguire la missione, tornandosene in Inghilterra, non prima però di aver impedito la rappresaglia europea nei confronti degli indigeni, che avrebbe compromesso forse definitivamente le ambizioni di civilizzazione degli stessi.
Despard fu sostituito alle Falkland dal reverendo Stirling, il quale, beneficiando proprio di tale lungimirante perdono, diventerà il primo europeo ad avere successo nell'opera di colonizzazione della Terra del Fuoco, rimanendo per 6 mesi nell'insediamento di Ushuaia, creato all'uopo in un luogo strategico, protetto dai venti, dotato di un porto adatto anche alle navi di media dimensione e non troppo lontano dal centro del territorio degli Yahgan.
Thomas Bridges, poco più che ventenne, aveva trascorso metà della sua vita alle Falkland in compagnia di indigeni Yahgan e ormai conosceva discretamente la loro lingua. Quel bianco che scese dalla nave parlando ai fuegini nel loro idioma e che prese il posto di Stirling a Ushuaia fu dunque uno dei fattori umani fondamentali per il successo della missione.

A questo punto Lucas Bridges, figlio di Thomas, che nacque in quegli anni proprio ad Ushuaia, inizia il lungo resoconto delle vicende legate alla vita della propria famiglia in quelle terre. Dalla colonizzazione di Ushuaia alla concessione, da parte del governo argentino, come ricompensa per l'opera svolta, di un appezzamento di terra in cui la famiglia Bridges costruì l'estancia Harberton, la più antica di quelle zone.
Alla morte del padre, i fratelli Bridges dovranno farsi carico della continuazione dell'opera.
Come Thomas era un esperto conoscitore degli Yahgan, Lucas diventerà un amico del popolo Ona, i fuegini dell'entroterra, delle montagne e della costa orientale della Terra del Fuoco, fino a fondare un'altra, enorme, estancia proprio sulla costa sud-est dell’isola, a sud di Rio Grande: l’estancia Viamonte.

Il resoconto che Lucas Bridges fa di queste epocali vicende è fortemente didascalico, quasi in forma di un decennale diario di bordo, ma con lo spirito di un romanzo d’avventura. Del resto è lui stesso, nella prefazione, ad avvertirci che il suo vuole essere un "racconto veridico e senza orpelli", privilegiando la genuinità del resoconto storico alla fluidità dell'opera narrativa. Le quasi 600 pagine, fittissime, del libro, già frutto di un'ampia scrematura, sono sicuramente molte, ma l'assoluto fascino, antropologico ma non solo, delle vicende narrate, le rendono tuttavia leggere e scorrevoli, come quelle di una raccolta di racconti.
I primi capitoli, che contengono il reportage dei primi contatti con i popoli di quelle terre, come sopra sinteticamente riportato, sono indubbiamente i più affascinanti, nonché gli unici a poter essere anticipati a cuor leggero, vista la loro funzione introduttiva delle vicende della famiglia Bridges, queste ultime raccolte nel restante massiccio corpo del libro.
Vicende di una eccezionale quotidianità, quella rappresentata dalla continua lotta con le difficoltà della vita ai confini del mondo, dove regnano le intemperie, dove procacciarsi il cibo è una delle preoccupazioni principali della giornata, dove le condizioni di vita sono parecchio diverse da quelle cui è abituato l'uomo civilizzato.
La presenza di quei popoli, in particolare gli Yahgan e gli Ona, le cui esistenze sono a loro volta state scosse dallo stanziamento degli europei, è un ulteriore fattore di incertezza: le loro già turbolente abitudini saranno destabilizzate dall'arrivo di nuove malattie, che li decimeranno sino all'estinzione, ma anche dall'alcool e dalle armi da fuoco. I Bridges si troveranno spesso a dover assumere difficili ruoli di neutralità attiva nelle lotte intestine tra fazioni o nelle violente faide familiari.
Due popoli tuttavia affascinanti, con le loro curiose usanze e i loro strani riti, con i loro costumi e le loro peculiari convinzioni: "un uomo non doveva essere goloso, perché ingrassando e impigrendosi non avrebbe più avuto successo nella caccia, offrendo agli altri uomini l'opportunità di dire in giro che sua moglie doveva nutrirlo di pesce. Per altro verso, le mogli di un uomo dovevano essere grasse, perché in questo modo tutti avrebbero portato rispetto al marito, riconoscendo in lui un bravo cacciatore".

L’autore ci racconta davvero tutto di questi popoli: da come gli Yahgan riuscissero a tenere accesi fuochi all’interno delle canoe di corteccia, sulle quali passavano gran parte del loro tempo, al perché solo le donne Yahgan sapessero nuotare, all’origine del nome “Terra del Fuoco”, legato all’avvistamento, da parte dei primi esploratori, di una serie di lunghe colonne di fumo lungo la costa, a causa dell’accensione di fuochi da parte degli indigeni che in tal modo si avvisavano vicendevolmente dei pericoli.
Il suo, dunque, rappresenta altresì un importante documento antropologico, su popoli che oggi, purtroppo, non esistono praticamente più. Il sangue di essi scorre ancora in qualche discendente meticcio, ma quelle usanze e quei riti, quei modi di vestire, di padroneggiare gli elementi e il territorio, di cacciare, che Bridges ci ha raccontato sono destinati a rimanere confinati nel passato ma per fortuna sottratti all’oblio grazie ad opere come questa.
Tutto ciò Bridges ce lo riporta con una cura maniacale del dettaglio e con una sincera attenzione al mantenimento della totale veridicità degli avvenimenti, preferendo ammettere, in tutta franchezza, di essersi dimenticato un nome o un particolare pur di mantenere al massimo livello la credibilità nei suoi confronti.

Un libro epico, tra i preferiti di Bruce Chatwin (che anche per seguire le orme di Lucas Bridges si avventurò in Patagonia). Un must per chi decide di viaggiare nella Terra del Fuoco: possibilmente da leggere prima del viaggio (e magari da rileggere dopo), affinché, una volta giunti lì, si possano provare anche visivamente le sensazioni dei primi pionieri, immedesimandosi in essi e guardando con altri occhi posti mistici e naturalisticamente fantastici come la zona di Harberton, le isole Bridges, il Canal Beagle, le foreste attorno al Lago Fagnano, le montagne a nord di Ushuaia.
Come è successo a me ad Harberton, davanti alla No-top Hill... ma questa è un'altra storia...

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