27 marzo 2015

Gente di Dublino, di James Joyce

Gente di Dublino (The Dubliners), di James Joyce

Anno di prima pubblicazione: 1914

Edito da: Einaudi, Feltrinelli, Mondadori, Rizzoli, Garzanti

Voto: 6,5/10

Pagg.: 214 (nell'edizione Einaudi)

Traduttore: Franca Cancogni

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Scritti nei primi anni del Novecento (tra il 1904 e il 1907), i 15 racconti che compongono The Dubliners furono pubblicati soltanto dieci anni dopo circa, in seguito a diversi rifiuti delle case editrici a cui Joyce li aveva sottoposti.

Si tratta della prima opera importante dell’Autore irlandese, scritta con lo pseudonimo di Stephen Dedalus, l’alter ego che lo scrittore stava utilizzando per l’opera semiautobiografica che avrebbe pubblicato di lì a poco, il Ritratto dell’artista da giovane.
In Gente di Dublino Joyce si proponeva di “smascherare l’anima di quella emiplegia o paralisi che molti considerano una città”.
La paralisi dell’Irlanda ante indipendenza, della sua città più rappresentativa e dei suoi abitanti, quei dublinesi che nella vita pubblica vengono definiti da Joyce beingless beings, esseri inesistenti.
È stata mia intenzione di scrivere un capitolo della storia morale del mio paese, e ho scelto Dublino come scena perché quella città mi sembrava essere il centro della paralisi. Ho cercato di presentarla al pubblico indifferente sotto quattro dei suoi aspetti: infanzia, adolescenza, maturità e vita pubblica.
A questa partizione possono essere ricondotti i 15 racconti (che alla prima stesura erano 12), scritti secondo uno stile essenzialmente realista:
-          l'infanzia (Le sorelle, Un incontro, Arabia);
-          l'adolescenza (Eveline, Dopo la corsa, Due galanti, La pensione di famiglia);
-          la maturità (Una piccola nube, Contropartita, Cenere, Un increscioso incidente);
-          la vita pubblica (Il giorno dell'Edera, Una madre, La grazia);
Chiude la raccolta I morti, che funge da autonomo epilogo.

Altro tema importante è quello della fuga o meglio dell’esilio che “da mezzo per sottrarsi alla paralisi ideologica diviene condizione di vita per l’artista e per la creazione dell’opera d’arte” (come possiamo leggere nell’introduzione di Giorgio Melchiori all'edizione Einaudi).
Protagonista dei racconti è innanzitutto la città di Dublino, nel suo ruolo di contesto in cui si svolgono le vicende (normali vicende quotidiane) dei tanti personaggi.
Gente di Dublino è come un museo di provincia in cui ci si aggira ammirandone i dipinti di malinconici ma dignitosi protagonisti del quotidiano.
Il signor Duffy rifuggiva da ogni indizio esteriore di disordine fisico o mentale. Per temperamento un dottore del Medioevo lo avrebbe definito un saturnino. Il suo viso, che portava impressa la storia degli anni trascorsi, aveva il color bruno delle strade dublinesi, sulla testa lunga e piuttosto grossa spuntavano aridi capelli neri e i baffi rossicci non bastavano a celare la piega sgradevole della bocca.
Racconti come Una piccola nube nascondono profonde riflessioni sulla letteratura e l’ispirazione:
C’erano tanti stati d’animo e tante impressioni diverse che avrebbe voluto esprimere in poesia. Se li sentiva dentro e cercava di soppesare la sua anima per sapere se era veramente anima di poeta. La melanconia ne costituiva la nota dominante, pensò; una melanconia moderata però da ritorni di fede e di rassegnazione e di gioia semplice. (...)
Non che avrebbe mai avuto popolarità, questo lo sapeva; e nemmeno che sarebbe mai riuscito a trascinare le folle, ma poteva pur sempre rivolgersi a una cerchia ristretta di spiriti affini.

Nel complesso, Gente di Dublino non è quella che si direbbe una lettura entusiasmante, a parte qualche eccezione (il penultimo racconto, La Grazia, è a mio avviso il più interessante).
La maggior parte di chi legge The Dubliners rimane affascinato dal racconto finale, I morti, notevole, a mio parere, soltanto per il magnifico finale:
Uno ad uno tutti si sarebbero mutati in ombre. Meglio, del resto, trapassare baldanzosi nell’altra vita, nel pieno della passione, che appassire e svanire a poco a poco nello squallore degli anni. (…)
E l’anima lenta gli svaní nel sonno mentre udiva la neve cadere lieve su tutto l’universo, lieve come la discesa della loro ultima fine su tutti i vivi, su tutti i morti.

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