27 marzo 2015

Critone, di Platone

Critone, di Platone

Anno di probabile scrittura: 395 a.C. circa

Edito da: Mondadori, Einaudi, Bompiani, Newton & Compton

Voto: 9/10

Pagg.: 212 (nell'edizione Bompiani)

Traduttore: Gino Giardini (nell'edizione Newton & Compton)

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Questo dialogo giovanile di Platone, il terzo della Prima Tetralogia dei dialoghi socratici (dopo l’Eutifrone e l’Apologia di Socrate e prima del Fedone), racconta della visita di Critone a Socrate, il quale si trova in carcere in attesa dell’esecuzione della condanna a morte, prevista per il giorno successivo al ritorno della nave sacra partita per Delo e momentaneamente bloccata da venti contrari.

Prima del rientro della nave sacra, infatti, nessuna condanna a morte poteva essere eseguita in città.

Critone, coetaneo di Socrate e suo discepolo, si reca dal Maestro per cercare di convincerlo a fuggire o quanto meno a riconsiderare l’alternativa dell’esilio, già rifiutata da Socrate durante il processo.
Critone teme, infatti, insieme agli altri discepoli,  di essere accusato di ingratitudine dagli ateniesi per non aver fatto fuggire il proprio Maestro o per non avergli fornito il denaro necessario ad evitare la condanna a morte.
Ma Socrate non vuole sentire ragioni: coerente fino alla fine, si preoccupa di analizzare la giustizia o meno di una sua eventuale condotta che vada contro la condanna emessa dai giudici ateniesi.
occorrerà esaminare e ricercare se è cosa giusta o meno che Socrate evada dal carcere senza che gli Ateniesi lo consentano. Se tutto questo comporta un atto di ingiustizia è forse giusto andare avanti, o l’ingiustizia è sempre tale e quindi è da evitare, come è da rifuggire di compiere il male contro gli uomini, anche quando da essi si è subìto un male?”.

Come si può intuire, il tema di fondo del Critone è essenzialmente quello della giustizia. Una giustizia che Socrate identifica, in modo strettamente positivistico, nel rispetto delle Leggi di Atene e delle sentenze dei suoi giudici.
In tal senso, il Critone si pone in stretta correlazione con le tematiche affrontate nell’Eutifrone, sebbene in quest’ultimo esse risentissero fortemente di un’impostazione sacrale (per l’Eutifrone, vedi qui).

Le Leggi, secondo la coerente logica di Socrate, vengono prima di tutto, anche della sua stessa vita:
Le Leggi, (…) assumendo una vera e propria personificazione, potrebbero chiedere a Socrate, che ha sempre predicato la virtù, per quale principio egli si accinga a fare ingiustizia e del male contro di loro. (…) Gli rinfacceranno che vecchio com’è, è stato attaccato ad un ultimo esiguo brandello di vita tanto da «passare sopra alle Leggi più venerande».
Quanto ai timori di Critone di venir accusato di ingratitudine dai cittadini di Atene, la risposta di Socrate è netta:
a noi, o beato Critone, deve proprio importare così dell’opinione della gente?”.
carissimo, noi dobbiamo darci pensiero non di quello che dirà di noi il popolino, ma di quello che potrà dire chi si intende del giusto e dell’ingiusto, di quello soltanto e della stessa verità”.
La verità e la giustizia, dunque, devono prevalere sulla considerazione della gente, anche a costo della vita. Del resto, come afferma Socrate, “non è il vivere da tenere nella massima considerazione, ma il vivere bene.

Neppure quando si subisce ingiustizia bisogna rispondere con ingiustizia, come credono i più, perché in nessun caso occorre compiere ingiustizia.
È in quest’opera che inizia il discorso sulle Leggi, alle quali Socrate non intende recare offesa, e che saranno oggetto di un apposito dialogo, l’ultimo scritto da Platone.
Con l’utilizzo della figura retorica della prosopopea, Socrate si immagina quelle stesse Leggi venire a chiedergli conto del suo eventuale comportamento incoerente (la fuga, che Socrate rifiuta addirittura di menzionare direttamente, come per una sorta di pudicizia morale):
«Dimmi, Socrate, cos’hai in mente di fare? A che altro pensi con questa azione che ti accingi a compiere, se non distruggere noi, le Leggi e tutta la Città, almeno per la parte che ti riguarda? O ti sembra possibile che si mantenga in piedi e non sia sovvertita quella città nella quale le sentenze già emesse non hanno alcuna forza ed anzi diventano insicure ad opera di privati e vengono distrutte?”.

Il finale del Critone è una conferma di quanto già ampiamente discusso nell’Apologia: Socrate conferma la sua intenzione di voler rispettare la sentenza e lo stesso Critone finisce per accettare tale decisione.
I comportamenti e le parole che Platone attribuisce a Socrate nel Critone sono da ritenersi assolutamente attendibili per le stesse ragioni per cui lo sono nell’Apologia (per la quale vedi qui). Si tratta, infatti, di un dialogo giovanile: Socrate era morto da non molto tempo e il ricordo di quei fatti era ancora vivo nella polis. Inoltre, lo stesso Platone era ancora fortemente legato agli insegnamenti del Maestro e non aveva sviluppato quelle teorie filosofiche che compariranno nei dialoghi della maturità.
Il clima assolutamente sereno che accompagna l’intero dialogo è coerente con la fedeltà di Socrate ai propri principi: anziché temere la morte, Socrate vi si avvicina con saggezza. Soltanto Critone è angosciato e turbato dall’avvicinarsi del giorno in cui il suo Maestro dovrà essere messo a morte, giornata che costituirà l’oggetto di un altro dialogo di Platone, il Fedone.

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